Capitolo Terzo

LO SCANDALO DEL SILLABO

Alla luce di quanto abbiamo detto nelle pagine che precedono, dovrebbe risultare un poco più comprensibile l'atteggiamento non propriamente benevolo che Pio IX tenne nei confronti della filosofia e della ideologia liberal-rivoluzionaria, atteggiamento che trovò il suo momento di celebrità internazionale con la pubblicazione del Sillabo, ovvero "Sommario dei principali errori dell'età nostra", nel 1864.

Una breve e forzatamente superficiale disamina dei principali avvenimenti che caratterizzarono l'inizio del pontificato, potrà aiutarci ad inquadrare il tanto discusso Sillabo nel contesto del proprio tempo.

1) Il mito del papa liberale

Quando il cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti salì al soglio pontificio, la sua fama di uomo riflessivo, moderatore e conciliante scatenò la fantasia dei contemporanei e diede il destro alla macchina propagandistica risorgimentale per la costruzione, secondo tecniche di manipolazione del pensiero e dell'immagine tanto abituali ai nostri giorni quanto sorprendentemente avanzate per quell'epoca, di una autentica mitologia sul patriottismo del nuovo Papa e la sua adesione sostanziale alla causa non solo unitaria ma anche liberale.

Il mito del "papa liberale" venne incrementato facendo leva sulla tradizionale amnistia per i prigionieri politici che papa Mastai, sull'esempio dei predecessori, concesse non appena eletto, nonché sull'adozione di talune significative riforme alle quali il nuovo pontefice mise mano fin dall'inizio del pontificato.

Basta rileggere il testo della più volte menzionata enciclica programmatica Qui pluribus, del 9 novembre 1846, per rendersi conto del fatto che sul piano dottrinale e filosofico Pio IX non poteva essere avvicinato né tantomeno assimilato ai liberali e che, quindi, tanto i gesti di clemenza quanto la politica di riforma dello Stato pontificio non erano affatto riconducibili a presunte simpatie per le "nuove idee". Come osserva Aubert "Pio IX non intendeva dunque in nessun modo accettare i princìpi del liberalismo, e anche nelle loro applicazioni politiche era deciso a muoversi con la più grande prudenza" (71).

Il tentativo propagandistico teso a coinvolgere il Papa nel movimento nazionale sembrò ricevere nuovo impulso dalla allocuzione del 10 febbraio 1848, nel corso della quale, dopo aver ricordato come la vera forza che nei tempi antichi delle grandi invasioni aveva scongiurato l'annientamento completo della civiltà era stata quella derivante dalla grandezza spirituale di Roma cristiana, pronunciò la celebre frase "Benedite, dunque, o grande Iddio, l'Italia, e conservatele questo dono, il più prezioso di tutti, la fede!". A rafforzare l'immagine erano altresì i noti sentimenti di genuina "italianità" di Pio IX, così come la decisione dello Stato pontificio di inviare, a fianco dei piemontesi e degli altri Stati italiani, un contingente di settemila soldati agli ordini del generale Durando quando iniziò la prima guerra d'indipendenza.

Mazzini, la cui "religiosità" visionaria abbiamo già descritto, decide di puntare sul nome di Pio IX per il rilancio del programma risorgimentale e chiede al Papa di porsi alla testa del movimento unitario e riformatore: "Vi chiamo, dopo tanti secoli di dubbio e di corruttela, ad essere apostolo dell'Eterno Vero [...]. Siate credente. Aborrite dall'essere re, politico, uomo di Stato [...]. Annunciate un'Era: dichiarate che l'Umanità è sacra e figlia di Dio; che quanti violano i suoi diritti al progresso, all'associazione sono sulla via dell'errore [...]. Unificate l'Italia, la patria Vostra [...]. Noi Vi faremo sorgere intorno una Nazione al cui sviluppo libero, popolare, Voi, vivendo, presiederete [...]" (72). Iniziarono a comparire le scritte "viva Pio IX" tracciate dagli insorti, il nome del Papa divenne un simbolo, uno slogan: "La Rivoluzione, rinnovando la tentazione del demonio a Gesù nel deserto, giungerà a chiedere al vicario di Cristo l'apostasia, offrendo il compenso della popolarità e del successo mondano. Pio IX rifiuterà ogni lusinga, scegliendo la via della croce" (73).

Lo storico liberale Luigi Salvatorelli svela con estrema franchezza l'uso strumentale che del papa la propaganda degli attivisti liberali intese fare: "L'opera positiva, cosciente non fu la sua, ma dell'agitazione popolare e di chi la dirigeva, prendendo occasione dalle concessioni di Pio IX, ingrandendole, cambiandone il significato, facendo pressioni per ottenerne sempre di nuove. [...] Il Risorgimento si è fatto contro il papato e non poteva farsi diversamente: e in questo senso hanno concorso anche quegli elementi credenti cattolici che vi hanno partecipato effettivamente. La contraddizione non era di un uomo, né poteva cancellarsi per opera di un uomo: era nell'istituto, nell'idea" (74).

Pio IX non poteva però naturalmente acconsentire, come capo spirituale di tutti i cattolici, ad essere utilizzato da chi intendeva edificare lo Stato unitario su presupposti ostili alla comune fede delle genti italiane, né poteva porsi a capo di un movimento politico che richiedeva la dichiarazione di guerra ad altri Stati cattolici, come nel caso dell'Austria.

La mitologia del "Papa liberale" era quindi destinata a sgonfiarsi ben presto, come puntualmente avvenne con l'allocuzione concistoriale del 29 aprile 1848, allorché Pio IX dichiarò: "Errano dunque grandemente coloro i quali ritengono che il Nostro animo possa essere lusingato dall'ambizione di più largo temporale dominio, al punto che Noi Ci gettiamo in mezzo ai tumulti delle armi" (75).

Di fronte a tale fermo atteggiamento, il movimento unitario grida al tradimento, il Papa liberale è diventato Papa reazionario e la "speranza dell'Italia" si rivela essere il suo maggiore avversario. La Rivoluzione, dopo il fallimento della prima guerra d'indipendenza accantona quindi le melliflue blandizie di pochi mesi prima e si mobilita contro il papato. Il 15 novembre 1848, Pellegrino Rossi, di tendenze liberali, da poco chiamato da Pio IX alla guida dell'amministrazione pontificia, viene assassinato da cospiratori, la situazione a Roma degenera in violenze ed agitazioni di tale gravità da costringere il Papa a lasciare la città per riparare in esilio a Gaeta, ospite di Ferdinando II re di Napoli: è il 25 novembre 1848.

2) La Repubblica Romana

Dopo la partenza di Pio IX la situazione a Roma precipita drammaticamente. Si verificano tumulti di ogni tipo, la città cade nel caos e si instaura un regime democratico estremista di orientamento esplicitamente anticristiano. L'entusiasmo della popolazione di Gaeta per l'arrivo di Pio IX contrasta con il clima di grave turbamento che domina la Città Eterna.

Pio IX, dall'esilio, non tarda ad elevare la propria protesta contro l'usurpazione da lui definita "sacrilego attentato", additando al mondo intero ed ai propri sudditi i nuovi reggitori di Roma come responsabili di un vero e proprio "colpo di Stato": "Dichiariamo pertanto nulli, di nessun vigore, e di nessuna legalità tutti gli Atti emanati in seguito della infertaci violenza, ripetendo altresì che quella Giunta di Stato istituita in Roma non è altro che un'usurpazione dei nostri Sovrani poteri, e che la medesima non ha, né può avere in verun modo alcuna autorità" (76).

L'allocuzione dell'aprile 1848, che pose fine al mito del Papa liberale, e il colpo di Stato di novembre segnano la definitiva rottura tra Pio IX e il movimento liberal-rivoluzionario. Si può dire che già da questi eventi, e quindi a partire dal 1848, abbia inizio in un certo senso la "questione romana", cioè la frattura tra papato e Stato italiano sul nuovo assetto politico, culturale ed ideologico della penisola che diverrà clamorosa con il 1870 e troverà fine solo nel 1929.

Intanto a Roma, liberata dal "giogo papalino", continuano le violenze anche se i protagonisti stessi di tale situazione si ostinano a negare. Scrive infatti Mazzini: "La causa repubblicana non fu mai macchiata dal più piccolo eccesso ...ad eccezione di tre o quattro preti, che si erano resi colpevoli d'aver fatto fuoco sui nostri combattenti e che perciò furono massacrati dal popolo negli ultimi giorni dell'assedio, non un solo atto di violenza personale fu commesso" (77). Mazzini lo nega, ma in realtà in quei mesi a Roma furono fatte le prove generali per le violenze e le devastazioni che sarebbero state compiute dopo Porta Pia. Il parlamento viene sciolto e vengono indette elezioni generali per l'assemblea Costituente Romana; Pio IX emana il 1° gennaio 1849 un motu proprio in cui rinnova le accuse di usurpazione e vieta ai cattolici la partecipazione al voto, sotto pena di scomunica. La plebaglia si scatena: vengono organizzate manifestazioni sacrileghe, parodie di processioni condite da bestemmie, imprecazioni e profanazioni di croci ed arredi sacri; viene beffeggiata ed oltraggiata una copia del motu proprio di Pio IX.

Il 21 gennaio si svolgono le elezioni, cui partecipano circa 200 mila votanti su tre milioni di aventi diritto, nonostante gli sforzi, di ogni genere, compiuti dai rivoluzionari per indurre i romani a partecipare al voto ignorando l'appello del Papa. La Costituente Romana, nella notte tra l'8 ed il 9 febbraio 1849 promulga la Repubblica Romana. Il decreto che ne sancisce la nascita dichiara solennemente che "Il papato è decaduto di fatto e di diritto dal governo temporale dello Stato Romano". Mazzini lascia il dorato esilio londinese e si precipita a Roma, dove entra a far parte del triumvirato insieme a Carlo Armellini ed Aurelio Saffi.

Il 20 aprile 1849 Pio IX pronuncia l'allocuzione "Quibus quantisque" nel corso della quale, dopo aver ripercorso le vicende del suo pontificato ed aver difeso l'operato compiuto, si scaglia con severità contro la Repubblica Romana: "Chi non sa che la città di Roma, sede principale della Chiesa cattolica è ora divenuta, ahi! una selva di bestie frementi, ridondante di uomini d'ogni nazione, i quali o apostati o eretici, o maestri, come si dicono, del Comunismo o del Socialismo, ed animati dal più terribile odio contro la verità cattolica, sia con la voce, sia con gli scritti, sia in qualsivoglia altro modo si studiano con ogni sforzo d'insegnare e disseminare pestiferi errori di ogni genere, e di corrompere il cuore, e l'animo di tutti, affinché in Roma stessa, se sia possibile, si guasti la santità della religione cattolica, e la irreformabile regola della fede? [...]" (78).

La Rivoluzione italiana aveva finalmente gettato la maschera, mostrando il proprio volto ostile al papato ed alla Chiesa, ed è curioso osservare come, nonostante risulti evidente la impostazione ideologica dei suoi protagonisti e la conseguente logicità dei suoi sviluppi, secondo alcuni studiosi le persecuzioni anticattoliche che iniziano nel 1849 e si sviluppano nel corso del decennio successivo altro non sarebbero che degenerazioni non volute e non previste, sostanzialmente imputabili alla ottusa chiusura mostrata dal Papa. Lo storico Aubert, ad esempio, parlando dei caratteri anticlericali della Repubblica Romana, scrive che "Fu un'evoluzione di cose inevitabile, dato che l'intransigenza dell'atteggiamento pontificio aveva finito per screditare del tutto i moderati, disposti a collaborare, lasciando così libero il campo ai repubblicani estremisti" (79), mentre secondo Candeloro, le leggi Siccardi che avviarono la durissima politica ecclesiastica del governo piemontese "[...] furono i primi esempi di quegli atti unilaterali che il governo piemontese prima e il governo italiano poi furono costretti a compiere di fronte all'intransigenza papale del periodo 1850-1871" (80).

La parentesi "giacobina" della Repubblica Romana durò poco: nell'estate del '49 truppe francesi inviate da Luigi Napoleone liberarono Roma dall'accozzaglia estremista che vi si era installata con la forza e rese possibile il ritorno di Pio IX, che avvenne, in un clima di festa generale, il 12 aprile 1850: "L'entrata di Pio IX nella sua capitale era fissata alle quattro dopo mezzodì del dodici aprile. Pareva che colà si fossero aperte le porte del cielo; tanto grande era il concorso della gente. Tutto era ornato a festa, e gli sguardi d'ognuno erano rivolti là donde si aspettava il Santo Padre: Sorge in lontananza un nugolo di polvere; indi a poco giunge galoppando un corriere colla livrea rossa; si ode il primo sparo del cannone; da tutte le parti echeggiano le grida: Evviva il Papa! Ad ogni istante rimbomba una cannonata, suonano le campane; esce in applausi l'immensa moltitudine. Pio IX giunge... smonta dalla carrozza, e piangendo per tenerezza tocca col piede la terra della patria, da cui era stato costretto per quasi un anno e mezzo a vivere lontano [...]" (81).

L'evolversi degli eventi servì ad imprimere un'ulteriore svolta nella tattica rivoluzionaria: dopo le blandizie al "Papa liberale" e dopo il tentativo insurrezionale della Repubblica Romana, era giunto il momento di por mano ad una persecuzione meno vistosa ma certamente più efficace, quella condotta con lo strumento della legge, sotto il segno non più dell'assassinio, ma della legalità.

 

3) Le leggi Siccardi e l'inizio della "persecuzione legislativa"

La "svolta" nella politica piemontese si compie a partire dall'approvazione delle tre "Leggi Siccardi", dal nome del guardasigilli Giuseppe Siccardi che le propose. La più importante di esse prevedeva l'abolizione del diritto di asilo, l'abolizione del foro ecclesiastico, la riduzione delle feste religiose, l'obbligo per gli enti ecclesiastici di chiedere l'autorizzazione per ricevere eredità e donazioni. Contemporaneamente, veniva annunciata la presentazione di un progetto di legge per l'introduzione del matrimonio civile.

I contenuti di tali leggi, tutto sommato moderati rispetto a quelle che di lì a poco le seguiranno, erano però sufficienti ad evidenziare la tendenza laicizzatrice che le aveva ispirate ed il loro contrasto con la religiosità tuttora assai diffusa nella popolazione. Cavour cercò di smorzare l'impatto della loro promulgazione, difendendo le leggi alla Camera con queste parole: "[...] il Cattolicismo ebbe sempre il gran merito di sapersi adattare ai tempi [...] quando la società posava sui privilegi, la Chiesa seppe farsi dare la sua parte di privilegi, e una parte piuttosto larga; ma ora che la società posa sul principio dell'uguaglianza, sul principio del diritto comune, credo che il clero cattolico saprà molto bene adattarvisi e farli suoi, e con questo vedrà crescere la sua influenza, la sua autorità" (82). Il governo piemontese ebbe però modo assai presto di dare prova tangibile della propria concezione di "uguaglianza" e di "diritto comune". Il vescovo di Torino, mons. Luigi Fransoni, non ritenne di poter accettare l'attacco sferrato dalla legge Siccardi e diramò una circolare nella quale invitava il clero che fosse stato eventualmente condotto avanti un tribunale civile ad opporre l'incompetenza di questo: come risposta il prelato fu processato immediatamente e condannato a un mese di carcere. Di lì a poco subì un altro processo e la definitiva espulsione dal regno. L'avvio della nuova politica ecclesiastica piemontese rispondeva a due esigenze: porre argine all'ostilità manifestata dal clero verso i principi rivoluzionari ed i suoi aspetti anticattolici e raccogliere beni e denaro necessari a coprire le sempre maggiori spese di guerra, quale quella sostenuta per l'inutile e atroce guerra di Crimea (combattuta nel 1855 a fianco di Turchia, Francia ed Inghilterra contro la Russia al solo scopo di mostrare ai potenti alleati europei la fedeltà e l'affidabilità piemontese).

La politica ecclesiastica del governo, prima piemontese e poi italiano, subì successivamente un'autentica escalation repressiva. Una legge del maggio 1855 sancisce, ad esempio, la soppressione di 34 ordini religiosi con 331 case e 4050 persone: "la legge mirava a colpire gli ordini religiosi puramente ascetici e contemplativi, da più di un secolo soggetti alla critica corrosiva dell'illuminismo e poi della democrazia e del liberalismo, che erano anche quelli giudicati più ostili al nuovo ordine di cose stabilito nel '48" (83).

Pio IX reagì comminando la scomunica maggiore contro i promotori, i difensori e gli esecutori della legge.

Ma Cavour proseguì deciso sul duplice binario della legislazione e dell'intensa attività diplomatica e prima al Congresso di Parigi (1856) poi al Convegno di Plombières (1858) lavorò alacremente per garantirsi gli aiuti internazionali indispensabili per piegare la volontà degli italiani, che si ostinavano a non gradire il progetto espansionistico del Piemonte. Nel 1859, con lo scoppio della seconda guerra contro l'Austria, si offre l'occasione per raccogliere i frutti di tali amicizie europee: con il determinante aiuto francese (ricompensato con la cessione di Nizza e della Savoia) il Piemonte si annette il Granducato di Toscana, il Ducato di Parma ed il Ducato di Modena. La successiva "conquista del sud", culminata con la caduta di Gaeta, consente poi l'annessione del Regno delle Due Sicilie ed il 17 marzo 1861 viene proclamata la nascita del Regno d'Italia, ancora privo del Veneto e di ciò che resta dello Stato Pontificio.
Ha inizio una difficile pagina della storia dei rapporti tra il nuovo regime e la Chiesa cattolica.

4) La persecuzione continua

Con la proclamazione del Regno d'Italia, la politica piemontese continua sia sul binario militare che su quello legislativo: repressione militare nel Meridione (come abbiamo visto nel capitolo precedente) e inasprimento della legislazione anticlericale in tutta la Penisola.

E così, mentre nel Sud, campo di battaglia su cui si consuma una guerra fratricida tuttora non sufficientemente studiata e compresa, la plebe ed il clero diventano pericolosi criminali additati all'odio ed al disprezzo con l'infamante epiteto di briganti, lo strumento della repressione legislativa si affina sempre di più, producendo esiti davvero sconcertanti. Come osserva l'insospettabile Giovanni Spadolini "Il governo italiano non si preoccupava certo di urtare la suscettibilità e le ire del Vaticano [...]: specie nell'Italia meridionale, convitti e collegi laici avevano preso il posto dei vecchi seminari confessionali, le Opere pie erano state spogliate o soppresse, eliminate le mense vescovili, limitate le funzioni vespertine e notturne, abolita l'esenzione dei chierici dal servizio militare, i capitoli generali manomessi o sconvolti, l'obolo di San Pietro ostacolato in ogni modo, imposto il giuramento ai cattolici dichiarati" (84). Sempre il medesimo autore racconta che "Il governo di Torino non aveva esitato, in più d'un caso, a vietare ai vescovi di comunicare con Roma, altri li aveva imprigionati, altri deportati, altri esiliati, altri confinati: il Papa assisteva in quei giorni alle conseguenze tremende dell'interferenza dello Stato nella vita della Chiesa, tali da dissolvere molti dei rapporti gerarchici, tali da ostacolare la vita stessa dei fedeli" (85).

Don Giacomo Margotti, su La Civiltà Cattolica del 30 giugno 1860, potè scrivere un lungo e documentato elenco delle umiliazioni, interferenze, prepotenze ed arbitri di ogni genere perpetrati dal potere civile ai danni dei cattolici. Non mancano, tra gli episodi di quei tempi, anche quelli che, pur drammatici in sé e nelle loro conseguenze, manifestarono un che di grottesco, come, ad esempio, il tentativo da parte delle autorità laiche e massoniche di imporre all'arcivescovo di Pisa, card. Corsi, il canto solenne del Te Deum in cattedrale in occasione della celebrazione dello Statuto, il 13 maggio 1860. Di fronte al rifiuto del porporato, le autorità cittadine, prese dal sacro desiderio di veder realizzata una così devota cerimonia, trovarono tre sacerdoti disposti a sostituirsi all'arcivescovo. I tre furono sospesi a divinis dal card. Corsi il quale, per questo motivo, fu arrestato e condotto a Torino.

"Il 1860 fu insomma un anno di fuoco. Una sequela interminabile di arresti, processi, espropri, condanne di preti, vescovi, cardinali, chiusura di seminari e monasteri, ridusse la Chiesa, in Italia, allo stremo", ma negli anni successivi non andò meglio: "Nell'anno del Sillabo [1864 n.d.r.] 43 vescovi erano in esilio, 20 in carcere, 16 erano stati espulsi e altrettanti erano morti per le vessazioni subite, centinaia di sacerdoti e frati languivano in galera, 64 preti e 22 monaci erano stati fucilati nel Sud. Il governo pretendeva di scegliere i vescovi ("libera Chiesa in libero Stato"?) e scioglieva di forza i comitati dei cattolici ("libertà di associazione"?). In questa situazione non stupisce che il papa, lungi dal cedere volontariamente i suoi Stati, abbia sparato il Sillabo contro il secolo" (87).

Il 7 luglio 1866, ancora, viene emanata una legge che toglie ogni riconoscimento giuridico a ordini, corporazioni e congregazioni religiose e sancisce l'acquisizione del loro patrimonio da parte dello Stato; nel 1867 viene promulgata la legge per la soppressione degli enti ecclesiastici e la liquidazione dell'asse ecclesiastico, che comporta la soppressione di 25.000 enti senza cura d'anime.

Potremmo continuare a lungo rievocando episodi che la storiografia ufficiale non ha mai ritenuto meritevoli di finire, nemmeno in nota, nei libri di testo in uso nelle nostre scuole, ma crediamo che quanto detto sia sufficiente a chiarire il clima in cui viveva la Chiesa negli anni dell'epopea risorgimentale.

E' in questo clima che giunge a maturazione l'idea del Sillabo.

5) Il Sillabo

L'idea di una condanna dei principali errori del tempo era nata molti anni prima. Già nel 1849, quando il livello dello scontro tra il regime liberale e la Chiesa era generalmente ben lontano dai toni che venne assumendo successivamente, l'arcivescovo di Perugia, card. Gioacchino Pecci (il futuro Leone XIII), aveva suggerito alla Santa Sede l'opportunità di un intervento insieme dottrinale e pastorale diretto a mettere in guardia i cattolici dalla pericolosità, filosofica e pratica, delle idee che si stavano affermando come il più significativo e rilevante portato della modernità.

L'idea venne accolta con favore da Pio IX, che nel 1852 dette incarico al card. Fornari di avviare allo scopo consultazioni riservate con personalità di spicco del mondo cattolico, tanto ecclesiastici quanto laici. I lavori preparatori, secondo tale modalità, procedettero con singolare lentezza e subirono una accelerazione solo con la pubblicazione in Francia, da parte di mons. Gerbet, vescovo di Perpignano, di una lettera pastorale indirizzata alla propria diocesi nella quale elencava 85 proposizioni ritenute erronee e pericolose. Si era già nel luglio del 1860: il testo di mons. Gerbet fu utilizzato come base per la elaborazione di un documento pontificio da parte della nuova commissione a tale scopo nominata e presieduta dal card. Caterini. Le 85 proposizioni del Gerbet divennero 61 nel testo elaborato della commissione. Il documento era pronto per essere reso pubblico, all'indomani della consultazione di circa trecento vescovi giunti a Roma nel giugno del 1862 per la solenne canonizzazione dei martiri giapponesi.

La divulgazione delle 61 tesi corredate da commenti dai toni aspri e polemici, ad opera del giornale torinese Il Mediatore, nell'ottobre seguente, però impedì la pubblicazione ufficiale del documento. Pio IX preferì attendere un momento più propizio e ne approfittò per apportare nuove modifiche al testo, incaricando un'altra commissione, guidata dal teologo barnabita Luigi Bilio, di lavorare in tal senso, aggiungendo ad ogni proposizione l'esatto riferimento del documento magisteriale in cui essa veniva condannata.

Fu così che, al termine di un iter durato quindici anni a partire dall'idea originaria, l'8 dicembre 1864, decimo anniversario della definizione del dogma della Immacolata Concezione di Maria, Pio IX promulga la lettera enciclica Quanta cura con annesso un elenco di proposizioni condannate, detto Sillabo o "Sommario dei principali errori dell'età nostra".

La versione definitiva contava 80 proposizioni suddivise in dieci capitoli:

  1. Panteismo, naturalismo e razionalismo assoluto;
  2. Razionalismo moderato;
  3. Indifferentismo, latitudinarismo;
  4. Socialismo, comunismo, società segrete, società bibliche, società clerico-
  5. liberali;
  6. Errori sulla Chiesa e i suoi diritti;
  7. Errori che riguardano la società civile, considerata in sé come nelle sue
  8. relazioni con la Chiesa;
  9. Errori circa la morale naturale e cristiana;
  10. Errori circa il matrimonio cristiano;
  11. Errori intorno al civile principato del Romano Pontefice;
  12. Errori che si riferiscono all'odierno liberalismo.

La Quanta cura e il Sillabo riassumono e condannano i principali errori teologici, filosofici e politici che costituiscono il fondamento della concezione liberal-rivoluzionaria propria della Rivoluzione francese, ripresa da quella italiana.

L'elenco di proposizioni contenuto nel Sillabo è disorganico e disomogeneo, tanto da far pensare ad una stesura frettolosa anziché ad una gestazione pluriennale, ma si può affermare che "L'eterogeneità delle proposizioni condannate non è che lo specchio fedele della cultura del tempo; a essa, e non al documento, va dunque imputata la disarmonia dell'immagine riflessa. L'armonia e l'organicità non andranno dunque cercate nel lapidario compendio, ma nelle encicliche, nei brevi, nelle allocuzioni da cui le singole proposizioni sono tratte [...]" (88).

La tesi di fondo dell'intero documento può essere riassunta nella condanna di un sistema ideologico e filosofico, e conseguentemente politico e morale, che postula la scissione tra la fede, relegata nella sfera intima e soggettiva della persona, e la vita sociale, e quindi tra la Chiesa e lo Stato. Pio IX condanna nel 1864 ciò che Giovanni Paolo II ha definito 130 anni dopo come la "estromissione della motivazione e della finalità religiosa da ogni atto della vita umana" (89) e che secondo il Concilio Vaticano II "va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo" (90). La "privatizzazione" della religione, della Chiesa, della fede reca con sé conseguenze funeste per l'intero ordine civile ed è fonte di gravi ingiustizie.

Il Sillabo è dunque essenzialmente un documento teologico che risponde all'esigenza di custodire, difendere e divulgare l'ortodossia cattolica, la fede e la visione dell'uomo e della società conformi al diritto naturale e alla sana filosofia, di fronte agli attacchi di ordine ideologico che ne minacciano l'integrità. Se, quindi, è giusto e doveroso inserire correttamente il Sillabo nel suo tempo e comprenderlo alla luce degli eventi che ne determinarono la pubblicazione, sarebbe però errato storicizzarne in assoluto la portata dimenticandone il valore dottrinale e teologico oggettivo e tuttora valido.

Come scrive Spadolini "Per quanto "gli errori che si riferiscono al liberalismo" siano relegati al capo X, cioè ultimo, di quell'elenco, è certo che tutte le tesi hanno un senso e un valore solo in quanto volte a combattere la Weltanschauung liberale, che contrappone alla tradizione cattolica una nuova visione dell'autorità e del potere, svincolando il credente dal cittadino, separando la Chiesa dallo Stato, contrapponendo alla morale rivelata la sola mistica civile e terrena" (91). Si può dunque dire che "Con il Sillabo Pio IX aveva in realtà colpito al cuore il problema. Il Risorgimento era un fatto anche politico, ma essenzialmente ideologico, un'operazione astratta e artificiale, che senza alterare le certezze della stragrande maggioranza del popolo (che era cattolica) non si sarebbe potuta effettuare" (92).

E' dunque vero che Pio IX condanna le libertà civili in nome dell'oscurantismo clericale? E' vero che il Sillabo rappresenta il tentativo della Chiesa di porre freno alla libertà di coscienza, di opinione, di stampa per imporre autoritativamente le proprie idee?

Come è stato scritto, "Il giudizio di Pio IX sulle famose libertà è storicizzato: non verte su quelle in sé e per sé, astrattamente considerate, in assoluto, o come avrebbero potuto intenderle i cattolici; bensì nel senso preciso in cui le intendevano i nemici della Chiesa in quel preciso momento storico: cioè nella precisa prospettiva del liberalismo illuministico, nell'orizzonte della religione della libertà, nell'accezione e nella interpretazione romantica (fuor d'ogni limite, infinitivamente, sino all'al di là del bene e del male, per dirla in termini di poco dislocati) a cui Quanta cura e Sillabo le riconducevano" (93). In questo senso, "La condanna di quel Liberalismo dipende dalla sua intrinseca incompatibilità con il cattolicesimo: non con quel cattolicesimo - con una presunta interpretazione riduttiva o medioevale che ne avrebbe dato Pio IX - , ma con il cattolicesimo, del quale come Papa garantiva l'autenticità" (94).

Questa è la corretta chiave di lettura alla luce della quale risulta non solo comprensibile, ma, in definitiva, condivisibile, la tanto deprecata condanna della ottantesima proposizione secondo cui "Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà" (95). Abbiamo visto nelle pagine precedenti quale fosse il progresso propugnato dalla Rivoluzione, quale il liberalismo trionfante in un'Europa sempre meno cristiana, quale la natura ed i caratteri della moderna civiltà che si voleva edificare nonostante e contro la Chiesa. Sarebbe stato stupefacente un assenso del Papa a questi attacchi ideologici mascherati da rivendicazioni patriottiche, invece di una condanna che non poté non essere pronunciata e ribadita.

Naturalmente, il contenuto essenzialmente teologico del Sillabo non può eliminare la sua valenza anche politica: "Il Sillabo fu il punto di differenziazione, il termine di separazione fra cattolici, fra "clericali" e "non clericali", fra devoti del Papa e devoti dell'unità: la condanna, involgendo il Risorgimento, risaliva alle radici filosofiche e politiche di quel movimento, le individuava in tutto il complesso della civiltà liberale, naturalistica e laicistica" (96).

E comunque, coloro che si stracciano le vesti di fronte all'atteggiamento di chiusura manifestato da Pio IX di fronte al liberalismo contemporaneo ed alla civiltà che questo intendeva edificare, dovrebbero valutare con serenità le caratteristiche di un tale liberalismo ottocentesco, i propositi e le realizzazioni da questo compiute, gli atteggiamenti e le responsabilità.

A completamento di quanto detto nelle pagine che precedono, può essere utile offrire alcuni ulteriori sintetici spunti di riflessione:

Merita poi una menzione d'onore il divieto sancito dal governo francese (con decreto del 1° gennaio 1865) di pubblicare il Sillabo in tutto il territorio dell'Impero in quanto contrario ai princìpi della Costituzione e dalla circolare dell'8 gennaio 1865 con la quale il governo italiano proibiva la lettura del Sillabo nelle chiese. Il tutto, naturalmente, a causa dell'ostilità del Papa verso le "libertà" liberali!

 

NOTE

71 Roger Aubert, op. cit., p.38.

72 Giuseppe Mazzini, lettera A Pio IX Pontefice massimo, in Opere, Rizzoli, Milano 1967, pp. 361-368.

73 Roberto de Mattei, Il Papa di Porta Pia, in Cristianità, anno VI, n. 36, aprile 1978, p. 4.

74 Luigi Salvatorelli, Pio IX e il Risorgimento, in Spiriti e figure del Risorgimento, Le Monnier, Firenze 1961, pp. 253-257.

75 Pio IX, Allocuzione concistoriale Non semel del 29-4-1848, in Ugo Bellocchi , op. cit., p.48.

76 Cit. in mons. Alberto Mons. Polverari, Vita di Pio IX, II. Dall'esilio di Gaeta al Regno d'Italia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1987, p. 20.

77 Cit. in ibid., p. 29.

78 Pio IX, Allocuzione concistoriale Quibus, quantisque del 20-4-1849, in Ugo Bellocchi, op. cit., pp. 65-66.

79 Roger Aubert, op. cit., p. 64.

80 Giorgio Candeloro, Il Movimento cattolico in Italia, Editori Riuniti, Roma 1982, p. 86.

81 Giovanni Bosco, La storia d'Italia raccontata alla gioventù, 17 ed., Tipografia e Libreria Salesiana, Torino 1886, p. 431.

82 Cit. in Giorgio Candeloro, Il Movimento cattolico in Italia, cit., p. 88.

83 Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna, vol IV, Feltrinelli, Milano 1980, pp. 166-167.

84 Giovanni Spadolini, L'opposizione cattolica, cit., pp. 24-25.

85 Ibid., p.18.

86 Antonio Socci, La società dell'allegria, cit., p.177.

87 Rino Cammilleri, Elogio del Sillabo, Leonardo, Milano 1994, p. 100.

88 Roberto de Mattei, Il Papa della "Quanta cura" e del "Sillabo", in Cristianità, anno VI, n. 42 , p.6.

89 Giovanni Paolo II, Discorso Sono lieto, del 1°marzo 1991, in "Annunciare il valore religioso della vita umana", Cristianità, Piacenza 1991, p. 5.

90 Concilio Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et Spes, del 7-12-1965, n.43, in Tutti i documenti del Concilio, Massimo , Milano e U.C.I.I.M., Roma, 1990, p. 182.

91 Giovanni Spadolini, op. cit., p.15.

92 Rino Cammilleri, Elogio del Sillabo, cit., p.31.

93 Manlio Brunetti, Pio IX: giudizio storico-teologico, cit. p. 41.

94 Ibid., p.48.

95 Pio IX, Sillabo dei principali errori dell'età nostra, in appendice alla Lettera Enciclica Quanta Cura dell'8-12-1864. In Ugo Bellocchi, op. cit., p.283.

96 Giovanni Spadolini, op. cit., p. 43.

97 Cit. in Antonio Socci, op. cit., p.118.

98 Cit. in Lorenzo Frugiuele, La sinistra e i cattolici (Pasquale Stanislao Mancini giurisdizionalista anticlericale) , Vita e Pensiero, Milano 1985, p.47.

99 Giorgio Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, cit., pp. 106-107.

100 Denis Mack Smith, op. cit. p. 173.