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Regine Pernoud
L’ORGANIZZAZIONE SOCIALE DEL MEDIOEVO

 

…quei tempi detti oscuri
(Miguel de Unamuno)

 

Si è creduto per molto tempo che bastasse ricorrere, per spiegare la società medievale, alla classica divisione in tre ordini: clero, nobiltà e terzo stato. E' la nozione che ancora ne offrono i manuali di storia: tre ben definite categorie di individui, aventi ciascuna attributi propri e nettamente divise l'una dall'altra. Nulla è più lontano dalla realtà storica. Questa suddivisione in tre classi può essere attribuita all'Ancien Regime, al XVII e XVIII secolo, in cui, effettivamente, i diversi strati della società formarono ordini distinti, le cui prerogative e i cui rapporti spiegano il meccanismo della vita. Per il Medioevo tale divisione è superficiale: descrive il raggruppamento, la suddivisione, la distribuzione delle forze, ma non dice nulla sulla loro origine, sul loro dinamismo e sulla struttura profonda della società. Così come appare nei testi giuridici, letterari e d'altro genere, essa è certamente una gerarchia, espressione di un ben determinato ordine sociale, ma questo ordinamento è altro e soprattutto molto diverso da quello che si è creduto. Negli atti notarili si vede continuamente il signore di una contea o il curato di una parrocchia comparire come testimoni nelle transazioni tra contadini, e la mesnie di un barone - cioè la sua corte, i suoi familiari, - comprende sia servi e monaci che personaggi altolocati. Gli attributi di queste classi sono del pari strettamente commisti: la maggior parte dei vescovi sono anche signori, parecchi di essi provengono dal popolino e in alcune regioni un borghese diviene nobile se acquista un feudo. Se si trascurano i manuali, per consultare i testi, la nozione delle "tre classi della società" appare subito fittizia e superficiale.

Sebbene più vicina alla verità, la divisione in privilegiati e non privilegiati rimane anch'essa incompleta, poiché nel Medioevo si ebbero privilegi sia alla sommità che alla base della scala sociale. Il più piccolo apprendista è in un certo senso un privilegiato, poiché è partecipe dei privilegi della corporazione; i privilegi dell'Università riguardano tanto i maestri ed i dottori, quanto gli studenti e persino i loro servi. Alcuni gruppi di servi rurali godono di precisi privilegi che il loro signore è tenuto a rispettare. Considerare solamente i privilegi della nobiltà e del clero significa farsi un'idea completamente falsa dell'ordinamento sociale.

Per capire veramente la società medievale bisogna studiare l'organizzazione della famiglia: è questa la "chiave" del Medioevo, ed è la sua caratteristica più originale. E' un'epoca in cui tutti i rapporti si rifanno al modello familiare; quelli del feudatario con il suo vassallo, o quelli dell'artigiano con il suo apprendista. La vita dei campi, la storia della nostra terra si spiega soltanto con l'ordinamento delle famiglie che vi sono vissute. L'importanza di un paese si valutava dal numero dei "focolari" e non dall'ammontare della popolazione. Nelle leggi e nei costumi, ogni disposizione è rivolta al bene della famiglia o all'interesse della casata, oppure, ampliando tale concetto di famiglia ad una cerchia più vasta, all'interesse del gruppo o della corporazione, la quale non è che una famiglia più grande, basata sul medesimo modello del nucleo familiare propriamente detto. I grandi baroni sono anzitutto dei padri di famiglia, che raccolgono intorno a sé tutti coloro che, per nascita, fanno parte del patrimonio feudale; le loro contese sono principalmente lotte familiari, alle quali partecipa tutta la mesnie, che essi hanno il dovere di difendere e di amministrare.

La storia della feudalità si identifica con quella delle principali casate. E in fondo che cos'è la storia del potere monarchico, dal X al XIV secolo? Quella di una stirpe, che si afferma grazie alla propria fama di coraggio, al valore di cui avevano dato prova i suoi antenati; i baroni diedero la corona ad una famiglia, più che ad un uomo: nella persona di Ugo Capeto vedevano il discendente di Roberto il Forte che aveva difeso il paese contro gli invasori normanni, di Ugo il Grande che già aveva portato la corona; ciò appare chiaro nel famoso discorso di Adaibéron di Reims: "Datevi per capo il duca dei Franchi, glorioso per le sue imprese, per il suo lignaggio e per i suoi uomini, - il duca in cui troverete un tutore non solo della cosa pubblica, ma anche dei vostri affari privati". Questa stirpe si è mantenuta sul trono ereditariamente, di padre in figlio, ed ha visto aumentare i propri domini attraverso successioni e matrimoni, molto più che con le conquiste: storia che, a livelli diversi, si ripete continuamente nel nostro paese, e che ha deciso definitivamente il destino della Francia, vincolando alla propria terra stirpi di contadini e di artigiani la cui tenacia nel rimanervi radicati, nei tempi buoni come in quelli tristi, ha veramente creato la nostra nazione. Alla radice della "anima francese" c'è la famiglia, così come il Medioevo l'ha vista e concepita.

Per capire l'importanza di questa base familiare non v'è di meglio che paragonare, per esempio, la società medievale, composta di famiglie, alla società antica, composta di individui. In quest'ultima l'uomo, "vir", prima di tutto; nella vita pubblica è il "civis", il cittadino che vota, fa le leggi e partecipa agli affari dello Stato; nella vita privata è il "paterfamilias", proprietario di un patrimonio che gli appartiene personalmente, di cui è il solo responsabile e sul quale ha diritti praticamente illimitati. Mai accade che la sua famiglia o il suo casato partecipino alla sua attività. Sua moglie ed i suoi figli gli sono interamente sottomessi, in uno stato di perpetua minorità; su di essi egli ha il diritto di usare e di abusare - jus utendi et abutendi, - come sugli schiavi e sui beni immobili. Sembra che la famiglia esista solo allo stato latente; vive della personalità del padre, che ne è insieme capo e sacerdote, con tutte le conseguenze di carattere etico che ne derivano, tra le quali bisogna contare anche l'infanticidio legale. D'altra parte nell'antichità il bambino è il grande sacrificato: è un oggetto la cui vita dipende dal giudizio o dal capriccio del padre; è esposto a tutte le eventualità dello scambio e dell'adozione, e, se gli è concesso il diritto di vivere, rimane sotto l'autorità e la dipendenza del "paterfamilias" finché quest'ultimo vive; ed anche allora non eredita automaticamente i beni paterni, poiché il padre può disporne per testamento a suo piacimento: lo Stato non si occupa del bambino per proteggere un essere indifeso, ma soltanto per formare il futuro soldato ed il futuro cittadino.

Nel nostro Medioevo, non resta nulla di questa concezione. Ora non conta più l'uomo, ma la stirpe. Si potrebbe studiare l'antichità - come infatti si fa - sotto forma di biografie: la storia di Roma è la storia di Silla, di Pompeo, di Augusto; la conquista della Gallia è la storia di Giulio Cesare. Arrivando al Medio Evo bisogna cambiare metodo: la storia della unità francese è quella della dinastia Capetingia; la conquista della Sicilia è la storia dei rami cadetti di una famiglia normanna, troppo numerosa per i suoi possedimenti. Per capire bene il Medioevo, bisogna vederlo nella sua continuità e nel suo complesso. Forse per ciò è molto meno conosciuto e molto più difficile da studiare che non l'Antichità, poiché bisogna districarne il filo seguendo nella continuità del tempo quelle mesnies che ne costituiscono la trama - e non solo quelle che hanno lasciato un nome per lo splendore delle loro gesta o per la importanza dei loro possedimenti, ma anche i ceppi più umili, quelli del popolo delle città o delle campagne, che occorre conoscere nella loro vita familiare se si vuole capire veramente la società medievale.

Tutto ciò d'altra parte si spiega: durante quel periodo di turbamento e di decomposizione totale che fu l'alto Medio Evo, la sola sorgente di unità, la sola forza rimasta viva fu precisamente il nucleo familiare, dal quale si è a poco a poco costituita la unità della Francia. La famiglia con la sua unità patrimoniale è stata, per la forza delle circostanze, il punto di partenza della nostra nazione.

Una simile importanza data alla famiglia si traduce in un prevalere della vita privata sulla vita pubblica, molto pronunciato nel Medioevo. Nell'antica Roma, un uomo vale nella misura in cui esercita i suoi diritti di cittadino: in quanto vota, delibera, partecipa agli affari dello Stato: le battaglie della plebe per ottenere di essere rappresentate da un tribuno sono sotto questo aspetto assai significative. Nel Medioevo raramente compaiono gli affari pubblici: per meglio dire, essi assumono immediatamente la fisionomia di un'amministrazione familiare, divengono bilanci di una tenuta, attività economiche di possidenti e di proprietari; persino quando i borghesi, al sorgere dei Comuni, reclamano dei diritti politici, lo fanno per poter esercitare liberamente il loro mestiere, per non essere più angariati da pedaggi e diritti doganali: per essi l'attività politica in se stessa non ha alcun interesse. D'altra parte la vita rurale è infinitamente più attiva di quella delle città, e comunque in entrambe è la famiglia, e non l'individuo, a prevalere come unità sociale.

Come ci appare dal X secolo in poi, la società presenta come caratteristica essenziale il concetto di solidarietà familiare, ereditato dai costumi barbarici, germanici o nordici. La famiglia è considerata un corpo in ogni membro del quale circola uno stesso sangue, o come un mondo in dimensioni ridotte nel quale ogni individuo agisce con la coscienza di fare parte di un tutto.

L'unione della famiglia non è più basata, come nell'antichità romana, sulla concezione statalista dell'autorità del suo capo, ma su un fatto di ordine biologico e morale insieme: tutti gli individui che la compongono hanno lo stesso sangue e la stessa carne, i loro interessi sono comuni e non v'è nulla di più onorevole del sentimento che per natura li unisce. La coscienza di questo carattere comune degli esseri di una sola famiglia è molto viva:

Les gentils fils des gentils pères

Des gentils e des bonnes mères

Ils ne font pas de pesants heires.

(I nobili figli di nobili padri / e di nobili e buone madri / non fanno delle villanie)

dice un autore del tempo. Coloro che vivono sotto uno stesso tetto, coltivano lo stesso campo e si riscaldano allo stesso focolare, - o, per dirla nel linguaggio di allora, coloro che hanno parte allo stesso pane e alla stessa pentola e tagliano dalla stessa pagnotta - sanno che possono contare gli uni sugli altri, e che, in caso di necessità, non mancherà loro l'aiuto di quelli della loro mesnie. Lo spirito di corpo è infatti più potente di quanto potrebbe essere in qualsiasi altro raggruppamento umano, perché è basato sui legami indissolubili della parentela naturale e si giova di una comunanza di interessi non meno visibile ed evidente. L'autore da cui si è tratta la precedente citazione, Étienne de Fougères, nel suo Livre des Manières protesta contro il nepotismo dei vescovi; tuttavia riconosce che essi fanno bene a circondarsi di parenti "se sono di buona indole", poiché, dice, non si può essere mai certi della fedeltà degli estranei, mentre quelli della propria famiglia almeno non vi tradiranno.

Si dividono le gioie e le sofferenze, si raccolgono al focolare i figli di quelli che sono morti o in ristrettezze, e tutta una casata si mobilita per vendicare l'offesa fatta a uno dei suoi membri. Il diritto alla guerra privata è riconosciuto durante una buona parte del Medioevo, e non si tratta che dell'espressione della solidarietà familiare. Inizialmente rispondeva ad una necessità: a causa della debolezza del potere centrale, l'individuo poteva contare solamente sull'aiuto della mesnìe per difendersi: durante tutto il periodo delle invasioni, da solo sarebbe stato esposto ad ogni sorta di pericoli e di miserie. Per sopravvivere bisognava far fronte comune, raggrupparsi - e quale gruppo varrà mai quanto quello di una famiglia risolutamente unita?

La solidarietà familiare, concretandosi in caso di necessità con l'aiuto delle armi, risolveva a quei tempi il dimette problema della sicurezza personale e patrimoniale. In alcune province, specialmente nella Francia settentrionale, la struttura delle abitazioni esprime questo senso di solidarietà: la stanza principale della casa è la "sala", che presiede con il suo vasto focolare alle riunioni familiari, la sala dove ci si raduna per mangiare, per festeggiare i matrimoni e gli anniversari e per vegliare i morti; è la "hall" della tradizione inglese, poiché l'Inghilterra aveva nel Medioevo costumi simili ai nostri, e in molte cose vi è rimasta fedele.

A questa comunità di beni e di sentimenti necessita un amministratore; naturalmente è il padre di famiglia che riveste questo ufficio. Ma invece dell'autorità di un capo, personale ed assoluta, come nel diritto romano, egli ha piuttosto l'autorità di un gestore: gestore responsabile, direttamente interessato alla prosperità della casa, ma che in questo adempie un dovere piuttosto che esercitare un diritto. Il suo incarico è proteggere i deboli, le donne, i bambini ed i servitori che vivono sotto il suo tetto, ed assicurare la gestione del patrimonio; ma non è considerato né il capo a vita della casata né il proprietario del dominio. Se vi sono dei beni patrimoniali, egli non ne ha che l'usufrutto: come li ha ricevuti dagli antenati, così li dovrà trasmettere a coloro che gli succederanno per nascita. Il vero proprietario è la famiglia, non l'individuo.

Ugualmente, se anche egli è investito di tutta l'autorità necessaria alle sue funzioni, è ben lungi dall'avere quel potere senza limiti sulla moglie e sui figli, che il diritto romano gli attribuiva. Sua moglie collabora alla mainbournie, cioè all'amministrazione della comunità e all'educazione dei figli; il marito amministra i beni che ella possiede in proprio, poiché è considerato più capace di lei nel farli prosperare, il che esige lavoro e preoccupazioni; ma se per una ragione o per l'altra egli deve assentarsi, sua moglie riprende in mano questa gestione senza il minimo ostacolo, senza alcuna autorizzazione preventiva. Il ricordo dell'origine della sua fortuna è così vivo, che se una donna muore senza figli i suoi beni personali vengono restituiti integralmente alla sua famiglia d'origine: nessun contratto può opporvisi, tutto ciò avviene come per diritto naturale.

Quanto ai figli, il padre ne è il guardiano, il protettore e il maestro. L'autorità paterna cessa con la loro maggiore età, che conseguono molto presto: quasi dappertutto a quattordici anni i popolani; i nobili a vent'anni, poiché per la difesa del feudo dovranno prestare un servizio più attivo, che esige forza ed esperienza. I re di Francia erano considerati maggiorenni a quattordici o a quindici anni; a questa età, come è noto, Filippo Augusto si poneva alla testa delle sue truppe. Una volta maggiorenne, il giovane continua a godere della protezione dei suoi e della solidarietà della famiglia, ma, contrariamente a quanto succedeva a Roma, ed anche più tardi negli Stati fondati sul diritto scritto, egli acquista piena libertà di iniziativa e può andarsene, fondare una famiglia, amministrare i suoi beni come vuole. Da quando è capace di agire da sé, nulla contrasta la sua attività; diviene padrone di se stesso pur conservando l'appoggio della famiglia da cui proviene. E' una classica scena dei romanzi di cavalleria, quella che vede i figli, non appena hanno l'età di portare le armi e di ricevere l'investitura, lasciare la dimora paterna per girare il mondo o andare a servire il loro sovrano.

Il concetto di famiglia così inteso ha un fondamento materiale: il patrimonio della famiglia, in generale un patrimonio fondiario, poiché agli inizi del Medioevo la terra è l'unica fonte di ricchezza, ed in seguito rimane il bene stabile per eccellenza:

Héritage ne peut mouvoir

Mais meubles est chose volage

(Eredità non si può muovere, / ma i mobili sono beni passeggeri)

si diceva allora. Tale patrimonio familiare, che si tratti di una dipendenza soggetta a servitù o di un possesso autonomo, resta sempre proprietà della famiglia. Su di esso nessuno può stabilire diritti non originari ed è inalienabile; le disgrazie della famiglia non possono toccarlo: non può venirle tolto ed essa stessa non ha il diritto di venderlo o di impiegarlo in operazioni finanziarie.

Quando il padre muore, tale patrimonio familiare passa agli eredi diretti. Se si tratta di feudo nobiliare, il maggiore dei figli ne riceve la quasi totalità, poiché per mantenere e difendere un feudo ci vuole un uomo, un uomo reso maturo dall'esperienza: è questa la ragione del diritto di primogenitura, quasi sempre consacrato dai costumi. Per i possedimenti dei non nobili gli usi variano da provincia a provincia: qualche volta l'eredità è suddivisa, ma in generale la successione tocca al primogenito. E' da notare che si tratta soltanto dell'eredità principale, del patrimonio familiare; gli altri eventuali beni sono divisi tra i figli minori; ma la residenza principale, con un'estensione di terre sufficiente a consentirne l'autonomia, spetta al primogenito.

D'altra parte è giusto, perché quasi sempre il primogenito ha collaborato con suo padre e, dopo di lui, è quello che maggiormente ha contribuito all'amministrazione e alla difesa del patrimonio. In qualche provincia, come l'Hainaut, l'Artois, la Piccardia e alcune parti della Bretagna, la successione all'eredità principale va non al primogenito, ma all'ultimo nato, ed anche in questo caso per una ragione di ordine naturale : perché in una famiglia, i primogeniti si spostano per primi, mentre l'ultimo nato rimane più a lungo con i genitori e li cura nella vecchiaia. Questo "diritto del più giovane" rivela l'elasticità e la diversità dei costumi, che si adattano alle abitudini familiari, a seconda delle condizioni di vita.

In ogni modo, l'aspetto caratteristico di questo sistema di devoluzione dei beni è il passaggio ad un erede unico, ed il fatto che questo erede è designato dal sangue. "Niente eredi per testamento", si dice in diritto consuetudinario. Nella trasmissione del patrimonio familiare, la volontà del testatore non interviene affatto. Al decesso di un padre di famiglia, il suo successore naturale entra di pieno diritto in possesso del patrimonio; "il morto investe il vivo", si diceva, con quel linguaggio medioevale che aveva il segreto delle espressioni incisive. E' la morte dell'ascendente a conferire al successore il titolo di proprietà, a metterlo "in staggina", nel godimento della terra del defunto; contrariamente a quanto avviene oggi, in quest'atto legale il giudice non interviene. Anche se cambia di provincia in provincia, le usanze variano secondo i luoghi, attribuendo il titolo di erede qui al primogenito, là all'ultimo nato, anche se il modo in cui i nipoti, in mancanza di successori diretti, possono pretendere l'eredità, rimane comunque una regola costante; la successione si assume solamente in virtù dei legami naturali con il defunto. Questo quando si tratta di beni immobili: i testamenti riguardano soltanto i beni mobili, oppure terre acquisite durante la vita, e che non fanno parte del patrimonio familiare. Sono ammesse deroghe quando l'erede naturale sia notoriamente indegno del suo incarico, o se, per esempio, è uno sprovveduto; ma in generale la volontà degli uomini non interviene contro l'ordine naturale delle cose. "Non è ammessa istituzione di erede" è la massima dei giuristi del diritto consuetudinario. In questo senso, parlando delle successioni regali, si dice ancor oggi: "il re è morto, viva il re". Non vi sono né interruzioni né vacanze di potere, quando la semplice ereditarietà da sola basta a designare il successore.

Così la gestione del patrimonio familiare è sempre assicurata. L'obiettivo di tutte queste usanze è di non lasciar indebolire il patrimonio. Per questo v'era un solo erede, almeno per i feudi nobili. Si temeva lo spezzettamento, che impoverisce la terra dividendola all'infinito: lo spezzettamento che è sempre stato fonte di discussioni e di processi; esso intralcia il coltivatore e ne ostacola il progresso materiale, poiché per mettere a profitto i miglioramenti che la scienza e il lavoro pongono a disposizione dell'agricoltore, occorre un'azienda di una certa estensione, che possa al bisogno sopportare parziali insuccessi, ed in ogni caso fornire risorse molteplici. Il latifondo, così come è strutturato nel feudalesimo, permette uno sfruttamento razionale della terra: si può periodicamente lasciarne una parte a maggese, permettendole di rinnovarsi, e variare le colture conservandone una suddivisione proporzionata. Così la vita delle campagne fu estremamente attiva durante il Medioevo, e in tale epoca in Francia vennero introdotte molte colture.

Ciò fu dovuto in gran parte alle opportunità che il sistema rurale dell'epoca offriva allo spirito d'iniziativa della nostra razza. Il contadino di allora non è né un retrogrado né un abitudinario.

L'unità e la stabilità del possesso erano una garanzia per il presente e per l'avvenire, favorendo la continuità dell'impegno familiare. Ai nostri tempi, quando vi sono parecchi eredi, bisogna smembrare i fondi e passare attraverso tutta una serie di negoziati e di ricompere per ottenere che uno di essi possa far proseguire l'azienda paterna. Lo sfruttamento razionale cessa con l'individuo. Ma l'individuo passa, mentre il focolare rimane, e, nel Medioevo si tendeva a rimanere. Se vi è una parola significativa nella terminologia medioevale, essa è maniero: il luogo dove si resta - manere - l'origine della casata, il tetto che ne ricovera i membri, i vivi e quelli che non sono più, e che permette alle generazioni di sopravvivere in tranquillità.

Altrettanto caratteristico l'impiego di quell'unità agraria che viene chiamata manse: distesa di terreno sufficiente perché una famiglia possa dimorarvi e vivervi. Essa variava naturalmente a seconda delle regioni: un angolo di terra nella grossa Normandia o nella ricca Guascogna rende al coltivatore più che ampie distese di terra in Bretagna o nel Forez; tale unità agraria ha quindi una ampiezza dipendente dal clima, dalle caratteristiche del suolo e dalle condizioni di vita. E' una misura empirica e, circostanza essenziale, ha carattere familiare e non individuale: essa presenta in modo precipuo la fisionomia tipica della società medievale.

Lo scopo dei nostri antenati era di assicurare alla famiglia una base solida, legarla in qualche modo alla terra, perché vi ponga radici, possa trame profitto e perpetuarsi. Se si può trafficare con i beni mobili e disporne per testamento è proprio perché essi sono per natura mutevoli e poco stabili; per ragioni opposte i beni immobili, proprietà della famiglia, sono inalienabili ed inacquisibili. L'uomo non ne è che il guardiano temporaneo, l'usufruttuario: il vero proprietario è la stirpe.

Un'infinità di usanze medioevali provengono da questa preoccupazione di salvaguardare il patrimonio familiare. Così, se mancano eredi diretti, i beni di origine paterna tornano alla famiglia del padre, quelli di origine materna alla madre – mentre nel diritto romano la parentela era riconosciuta solo per i maschi. E' ciò che viene chiamato fente, divisione dei beni di una famiglia estinta secondo la loro origine. Ed ancora, il "riscatto di stirpe" concede ai parenti anche lontani un diritto di prelazione quando per un motivo o per l'altro un feudo è venduto.

Anche il modo in cui è regolata la custodia di un bimbo divenuto orfano presenta un tipo di legislazione familiare. La tutela è esercitata da tutta la famiglia, e colui che per il suo grado di parentela è designato ad amministrare i beni diviene naturalmente il tutore. Il nostro consiglio di famiglia non è che un resto dell'usanza medievale nell'amministrare la locazione delle terre e la tutela dei bambini.

D'altra parte il Medioevo ha così viva la preoccupazione di rispettare l'andamento naturale delle cose, di non creare difficoltà all'evolversi del bene familiare, che quando i proprietari di un bene muoiono senza eredi, il loro patrimonio non può far ritorno agli ascendenti; si cercano i discendenti anche lontani, cugini primi o parenti in grado successivo, piuttosto che far tornare quei beni ai precedenti possessori: "i beni propri non rimontano". Ciò per seguire l'ordine normale della vita, che si trasmette dal vecchio al giovane, e non viceversa: i fiumi non risalgono verso la loro sorgente, e così gli elementi della vita debbono alimentare ciò che rappresenta la giovinezza, l'avvenire. D'altra parte è una garanzia in più per il bene della casata, che i beni vadano necessariamente ad individui giovani, dunque più attivi e capaci di valorizzarli più a lungo.

Talvolta la devoluzione dei beni si fa sotto una forma che rivela pienamente quel sentimento familiare che è la grande forza del Medioevo.

La famiglia ha una personalità giuridica ed etica, possiede in comune i beni di cui il padre è l'amministratore; alla sua morte la comunità si ricostituisce sotto la guida di uno dei personniers, designato dal sangue, senza che vi sia alcuna interruzione nel godimento dei beni né alcuna specie di successione nel patrimonio. Si tratta di ciò che viene detta "tacita comunità", di cui fa parte ogni membro della casata che non sia stato espressamente bandito. Tale costume sopravvisse sino alla fine dell'Ancien Regime, e vi sono state famiglie francesi che per secoli non avevano mai pagato imposte di successione: il giurista Dupin segnalava nel 1840 la famiglia Jault, che non ne aveva mai pagate dal XIV secolo.

In ogni caso, anche senza considerare questo concetto di comunità, la famiglia vista nel succedersi delle generazioni rimane il vero proprietario del bene patrimoniale. Il padre che ha ricevuto questo bene dai propri antenati ne renderà conto ai suoi successori; nobile o plebeo egli non è mai il padrone assoluto: gli si riconosce il diritto di usare, non di abusare, ed ha inoltre il dovere di difendere, proteggere, migliorare la sorte di tutti e di tutto ciò di cui è stato costituito tutore naturale.

E' così che si è formata la Francia, opera di migliaia di tali famiglie, ostinatamente attaccate alla terra, nel tempo e nello spazio. Franchi, Burgundi, Normanni, Visigoti, tutti questi popoli nomadi la cui massa instabile fa dell'alto Medioevo un caos sconcertante, dal X secolo in poi formano una nazione, solidamente attaccata alla propria terra, unita da legami più sicuri di tutte le federazioni di cui si è potuta proclamare l'esistenza. Lo sforzo ripetuto di quelle famiglie microscopiche aveva dato origine ad una vasta famiglia, un macrocosmo di cui la stirpe dei Capeti, che guida gloriosamente per tre secoli i destini della Francia, simbolizza a meraviglia la stabilità. Costituisce certamente uno degli spettacoli più belli che offra la Storia, questa famiglia che rimane alla nostra guida in successione diretta, senza interruzioni e senza debolezze, per più di trecento anni - un periodo di tempo pari a quello che è trascorso dall'avvento di Enrico IV alla guerra del 1940...

Ma ciò che occorre capire, è che la storia dei Capeti non è che la storia di una famiglia francese fra milioni di altre. Una simile vitalità, una tale facoltà di rimanere radicati alla nostra terra, l'hanno avuta in un grado quasi uguale tutti i focolari di Francia, salvo le disgrazie inevitabili nell'esistenza. Il Medioevo, uscito dall'incertezza e dalla confusione, è stato un'epoca di stabilità, di permanenza, nel senso etimologico della parola.

Tutto ciò, l'ha dovuto alle sue istituzioni familiari, come vengono descritte dal nostro diritto consuetudinario. In esse si conciliano effettivamente il massimo della libertà individuale e il massimo della sicurezza. Ogni individuo trova nel focolare l'aiuto materiale, e nella solidarietà familiare la protezione morale di cui può avere bisogno; nello stesso tempo, da quando basta a se stesso, egli è libero, libero di sviluppare la propria iniziativa, di costruirsi la propria esistenza; niente ferma l'espansione della sua personalità. Gli stessi legami che lo vincolano al focolare paterno, al suo passato, alle sue tradizioni, non costituiscono affatto un intralcio; la vita per lui ricomincia interamente, proprio come, nel senso biologico, ricomincia intera e nuova per ogni essere che viene al mondo - o come l'esperienza personale, tesoro incomunicabile che ognuno deve forgiarsi per se stesso, e che avrà valore soltanto nella misura in cui gli è propria.

E' evidente che una simile concezione della famiglia basta a determinare tutto il dinamismo e tutta la solidità di una nazione. L'avventura di Roberto il Guiscardo, con i suoi fratelli, cadetti di una famiglia normanna troppo povera e troppo numerosa, che emigra, diviene re di Sicilia e vi fonda una potente dinastia: ecco il tipo stesso della storia medioevale, tutta ardimento, senso della famiglia e fecondità. In questo il diritto consuetudinario, che ha fatto la forza del nostro paese, si opponeva direttamente al diritto romano, in cui la coesione della famiglia deriva solamente dalla autorità del capo, essendogli tutti i membri sottomessi da una rigorosa disciplina per tutta la vita: concezione militare, statalista, basata su una ideologia da giuristi o da funzionari, non sul diritto naturale. Si è paragonato la famiglia nordica ad un alveare che periodicamente fa sciame e si moltiplica andando a far bottino in terre nuove, e la famiglia romana ad un alveare che non farà mai sciame. Si è detto anche della famiglia "consuetudinaria" che essa formava pionieri e uomini d'affari, mentre dalla famiglia romana nascevano militari, amministratori, funzionari. Queste formule ci vengono da Roger Gand, professore alla Scuola di Paleografia.

E' curioso seguire nel corso dei secoli la storia dei popoli formatisi da queste diverse matrici, e constatare a quali risultati siano pervenuti. L'espansione romana era stata politica e militare, non etnica; i Romani hanno conquistato un impero con le armi, e lo hanno conservato con i loro burocrati; questo impero è stato solido solo fino a quando i soldati ed i funzionari hanno potuto sorvegliarlo facilmente; la sproporzione tra l'estensione del territorio e la centralizzazione, che è lo scopo ideale e la conseguenza inevitabile del diritto romano, non ha smesso di accentuarsi; l'impero si affosserà da sé, per mezzo delle proprie istituzioni, quando la spinta delle invasioni verrà a dargli il colpo di grazia.

Si può opporre a questo esempio quello delle razze anglosassoni; i loro costumi familiari sono stati per tutto il Medioevo identici ai nostri e, contrariamente a quanto è accaduto da noi, esse li hanno conservati; senza dubbio è questo che spiega la loro prodigiosa espansione in tutto il mondo. Ondate di esploratori, di pionieri, di mercanti, di avventurieri e di sbandati lasciavano il loro focolare per cercare fortuna, ma non dimenticavano per questo la terra natale e le tradizioni dei padri: così nacque un impero.

I paesi germanici, che ci hanno dato in gran parte i costumi che caratterizzano il nostro Medio Evo, si videro imporre molto presto il diritto romano. I loro imperatori si trovarono a raccogliere le tradizioni dell'Impero d'Occidente, e giudicarono che per unificare i vasti territori che erano loro sottomessi il diritto romano fosse un eccellente strumento di centralizzazione. Esso fu quindi adottato molto presto, e dalla fine del XIV secolo costituiva definitivamente la legge comune del Sacro Romano Impero, mentre in Francia, per esempio, la prima cattedra di diritto romano alla Università di Parigi fu istituita solo nel 1679. Ed anche l'espansione germanica fu piuttosto militare che etnica.

La Francia invece è stata plasmata soprattutto dal diritto consuetudinario; si ha l'abitudine di designare il sud della Loira e la vallata del Rodano come "paese del diritto scritto", cioè del diritto romano, ma ciò significa che i costumi di queste province si ispiravano alla legge romana, non che il codice di Giustiniano vi fosse in vigore. Per tutto il Medioevo la Francia ha mantenuto infatti i suoi costumi familiari e le sue tradizioni domestiche. Solamente a partire dal XVI secolo le nostre istituzioni, sotto la influenza dei giuristi, si evolvono in un senso sempre più "latino". Una trasformazione che si opera lentamente, e che si nota dapprima per piccole modifiche: la maggiore età viene portata a venticinque anni, come nella Roma antica, dove, trovandosi il figlio in uno stato di soggezione perpetua rispetto al padre, non vi era alcun inconveniente che la maggiore età fosse proclamata più tardi. Al matrimonio, considerato sino allora come un sacramento, come l'adesione di due volontà libere per la realizzazione di un fine loro proprio, si aggiunge il concetto del contratto, dell'accordo puramente umano, basato su stipulazioni materiali. La famiglia francese si adegua ad un modello statalista che ancora non aveva conosciuto, e, man mano che il padre di famiglia concentra nella sua persona tutta l'importanza della casa, lo stato si avvia verso la monarchia assoluta. Assai caratteristica a questo riguardo è l'evoluzione del diritto di proprietà, divenuto sempre più assoluto e individuale. Le ultime tracce di proprietà collettiva sono scomparse nel XIX secolo con l'abolizione dei diritti di uso e di libero pascolo.

Malgrado le apparenze, la Rivoluzione non è stato un punto di partenza, ma un punto di arrivo: il risultato di un'evoluzione di due o tre secoli; essa rappresenta l'espandersi nelle nostre abitudini della legge romana, a spese del costume; Napoleone non ha fatto che compirne l'opera istituendo il codice civile e organizzando l'esercito, l'insegnamento, la nazione intera sull'ideale funzionaristico della Roma antica.

D'altra parte è lecito chiedersi se il diritto romano, quali che siano i suoi meriti, conveniva allo spirito della nostra razza ed al carattere della nostra terra. Questo insieme di leggi, forgiato di sana pianta da militari e da giuristi, questa creazione dottrinale, teorica, rigida poteva essere sostituita senza inconvenienti ai nostri costumi elaborati dall'esperienza delle generazioni, plasmati lentamente secondo i nostri bisogni? Quei nostri costumi che non sono mai stati altro che le nostre abitudini recepite e formulate giuridicamente, le abitudini di ogni individuo o meglio ancora quelle del gruppo di cui faceva parte. Il diritto romano era stato concepito per uno Stato urbano, non per una civiltà contadina. Parlare dell'Antichità è parlare di Roma o di Bisanzio; per far rivivere la Francia medievale, non bisogna evocare Parigi ma l'Ile-de-France, non Bordeaux ma la Guyenne, non Rouen ma la Normandia; non la si può concepire che vedendola nelle sue province feconde di grano e di vino buono. Un piccolo fatto significativo è vedere colui che prima era chiamato "residente" (chi risiede, sta) divenire sotto la Rivoluzione "cittadino": cittadino, da città. Ciò si spiega, perché la città stava per conquistare la potenza politica, dunque la potenza più importante poiché, non esistendo più i costumi, tutto doveva dipendere ormai dalla legge. La nuova ripartizione amministrativa della Francia, con i dipartimenti che gravitano tutti su una città, senza che si tenga conto della natura del terreno nelle campagne che vi sono comprese, manifesta bene questa evoluzione. La vita familiare da questa epoca in poi è sufficientemente affievolita perché possano stabilirsi istituzioni come il divorzio, l'alienabilità del patrimonio e le moderne leggi sulla successione. Le libertà individuali di cui non ci si era mai mostrati tanto gelosi, scompaiono dinanzi alla concezione di uno Stato centralizzato sul modello romano. Forse bisognerebbe cercare qui l'origine dei problemi che si sono posti in seguito con tanta gravità: i problemi dell'infanzia, dell'educazione, della famiglia, della natalità - problemi che non esistevano nel Medioevo, perché allora la famiglia era una realtà, perché essa possedeva il fondamento materiale e morale e tutte le libertà necessarie alla propria esistenza.

 

[Luce del medioevo, cap. I, Volpe, Roma 1978, pp. 23-41, oggi reperibile presso http://lnx.theseuslibri.it/product.asp?Id=94 ]