Al Andalus
Tratto da «il Timone» n. 62, aprile 2007
di
Alberto Leoni
Tra i molti fantasmi che si aggirano per l'Europa, uno dei più conosciuti è
quello del multiculturalismo e la sua effigie è la Spagna moresca, la mitica Al
Andalus, dove lo splendore dei tesori d'arte e l'eccezionale ricchezza
culturale ed economica riportano a un'epoca in cui ebrei e
cristiani vivevano in pace sotto il dominio musulmano, senza che le loro comunità
fossero perseguitate. In tal modo, un Islam tollerante e benefico potrebbe
proporsi come ipotesi per una nuova Europa unita, stavolta sotto il segno
delta Mezzaluna. La Croce, ahimé, non solo non gode di buona stampa ma, soprattutto
in Spagna, è divenuta sinonimo di intolleranza e di fanatismo: e tutto
ciò nonostante il cristiano "siglo de oro" non sia affatto inferiore all'
opulenza di Al Andalus, Alhambra compresa.
Per capire quale fosse realmente
la situazione di ebrei e cristiani sotto il dominio islamico in Spagna bisogna
rifarsi, necessariamente, alle norme che regolano la "dhimma", la sottomissione
dei Popoli del Libro alla legge coranica. La "Carta di Omar", il secondo
califfo dopo Maometto, divenne, nelle successive versioni, una sorta di manuale
per governanti e principi e vale la pena riportare le condizioni cui dovevano
sottoporsi i "dimmi": non costruire e non riparare chiese, conventi ed eremi;
ospitane qualunque musulmano per almeno tre giorni; non dare asilo ad alcuna
spia; non nascondere ai musulmani qualsiasi cosa possa loro nuocere; non manifestare
la propria religione, non predicarla, e permettere la conversione all'
Islam; fare posto a sedere ai musulmani; vestire in modo da essere
riconosciuti come cristiani e non somigliare ai musulmani; non utilizzane la
sella e non portare armi; non vendere bevande fermentate; rasarsi la parte
anteriore del capo come segno distintivo; non mostrare croci e bibbie in
pubblico; non alzare la voce nelle chiese davanti a musulmani; divieto di
processioni per la Pasqua; funerali silenziosi; non costruire case più alte dei
musulmani; non colpire un musulmano; non sposare una musulmana. Quanto al
tributo, la jizya, esso doveva essere pagato in modo umiliante: il
suddito deve stare in piedi davanti all'esattore seduto,
poi deve chinare il capo e beccarsi uno scappellotto. Questo rituale poteva
variare a seconda delle interpretazioni, andando da un semplice versamento, privo di
umiliazioni, a un rituale violento, con strappo della barba e botte
sulle mani. Questa ghettizzazione si rifletteva anche nelle carniere amministrative, di
norma chiuse ai non musulmani e all'esercizio della
giustizia che vedeva cristiani ed ebrei perennemente sfavoriti. A essi, però, erano
riservati altri lavori, come raccogliere la spazzatura e pulire le latrine.
In cambio di tutto ciò veniva concessa salva la vita, ma questo patto
era quanto mai fragile e sottoposto alla buona volontà e alla buona fede dei
musulmani. Un'accusa di oltraggio alla fede islamica bastava a portare il cristiano
in tribunale con tutte le incognite del case. Come fu possibile allora che
la cristianità spagnola si sottomettesse a un simile regime per secoli? La questione
va guardata, per una volta, con un'ottica militare e politica poiché la
normativa islamica era strumentale alle grandi conquiste del primo secolo di
vita della nuova religione. Nel 722, un secolo esatto dopo l'Egira di
Maometto verso Medina, l'Islam dominava gran parte del mondo conosciuto: Siria,
Palestina, Persia, Africa settentrionale e Spagna erano sottoposte alla legge
islamica e questo grazie a un'accorta politica di accordo con le
popolazioni conquistate. Ognuna di queste era stata convertita all'Islam e
messa in condizioni di non nuocere agli occupanti, ma l'eccezione notevole fu
proprio quella della cristianità spagnola. Dal 711, anno della battaglia di
Guadalete in cui fu infranto il regno visigoto, al 721, in cui fu compiuta la
conquista di quasi tutta la penisola iberica, arabi e berberi avevano
schiacciato le resistenze più deboli e negoziato con quelle più forti, facendo
le opportune concessioni. Gli iberici, però, non si convertirono in massa, come
era successo a persiani, berberi e siriani e quelli che lo fecero lo fecero dopo
due secoli di dominazione. Mancò la spinta propulsiva dei convertiti e i
musulmani nella penisola iberica furono, inizialmente, una ristretta minoranza
che non poté compiere nuove durevoli conquiste in Francia. Le vittorie di Carlo
Martello, a Poitiers e in Provenza, hanno proprio questa fondamentale radice: la
carenza di effettivi da parte moresca.
I cristiani spagnoli adottarono due linee
di condotta: una più accomodante, l'altra di resistenza a oltranza, per quanto non
armata, a causa della propria debolezza militare. Dalla prima corrente ebbe
origine l'adozionismo, quell' eresia che considerava Gesù nella sua sola natura umana
ma "adottato" da Dio. L'eresia fu condannata nel 785
e poi nel 794, proprio negli anni in cui il califfo Abd-er Rahman faceva costruire
la moschea di Cordova laddove sorgeva la cattedrale, obbligando i cristiani a lavorare
alla sua edificazione. I martiri iberici non furono numerosi e ne
vengono ricordati solo alcuni per il primo secolo di occupazione. Poi
dall'inizio del IX secolo in poi, il loro numero cominciò a
crescere man mano che diventava evidente come l'Islam stesse soffocando la Chiesa un
poco per volta. Più volte i cristiani di Cordova e di Toledo
insorsero contro l'occupazione islamica e ogni volta la repressione fu spietata
e sempre più generalizzata. Nell'837 Toledo insorse nuovamente e ci volle
un assedio in piena regola per piegarne la resistenza. Molti cristiani mozarabi
(da "musta'rib": arabizzati) emigrarono verso nord, dove i reami
cristiani in piena espansione erano ben lieti di accoglierli, ma altri
scelsero la via del martirio consapevole pur di risvegliare le coscienze del
propri confratelli. Nell'851 il cristiano Isacco professò apertamente la propria
fede e chiese al giudice di convertirsi prima di essere giustiziato. Nello
stesso anno Nunilone e Alodia, figlie di padre musulmano e madre
cristiana, violarono la legge islamica che le voleva musulmane dalla nascita e furono
martirizzate anch'esse. Nei dieci anni successivi, vi furono almeno altri
46 martiri nella sola Cordova. Spesso erano figli di matrimoni misti come
Adolfo e Giovanni di Siviglia o sposi come Aurelio e Sabighora, sacerdoti come Rodrigo,
denunciato dal proprio fratello musulmano. L'accusa fu quella di
apostasia o di oltraggio alla religione e, in verità, bastava dire che Maometto
non era ispirato da Dio per commettere tale reato. Il fenomeno fece scalpore e
spinse il califfo a convocare, nell'852, un concilio che condannò la
voluttà di martirio ma questo non fermò il capo della rivolta, il sacerdote Eulogio,
che continuò a polemizzare apertamente con le autorità moresche, tanto da
essere eletto arcivescovo e primate di Spagna. Tale titolo non lo poteva
sottrarre alla giustizia moresca, in attesa di un suo passo falso o, in altre
parole, di una nuova confessione di fede. Così, nel marzo dell'859, una convertita,
Leocricia, chiese la sua protezione ed egli gliel'accordò di buon
cuore. Fu per questo motivo che venne subito arrestato, giudicato e sgozzato
in una data che è diventata terribilmente significativa per la Spagna moderna:
l'11 marzo, il giorno degli attentati di Madrid.
Dopo di lui vi furono altri
martini, come la monaca Laura di Cordova e altri ancona nei secoli successivi, seppure
in misura minore, così come è vero che le conversioni all'islam
aumentarono di molto. Ma la resistenza, anche solo passiva, dei cristiani
spagnoli costrinse i califfi a portane nella penisola nuovi immigrati e,
con essi, le divisioni tribali e razziali che, rinate in terra iberica, portarono
alla frammentazione dei "regni di taifas" (una serie di città-stato islamiche)
e, in conclusione, alla scomparsa della Spagna moresca. Al suo posto si
instaurava il potere del sovrani cristiani, pronti ad accordare privilegi ed esenzioni
ai sudditi musulmani quando la situazione militare era precaria, ma altrettanto
disposti a dar prova di intolleranza quando la ragion di stato lo chiedeva.
Non era tempo per società multiculturali, non lo era stato prima e c'è
da chiedersi se lo sia oggi.
Bibliografia
Camille Eid, A morte in nome di Allah.
I martiri cristiani dalle origini dell'Islam a oggi, Piemme, 2004.
Benjamin Z. Kedar, Crociata e missione. L'Europa incontro all'
Islam, Jouvence, 1991.
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