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I CLERICALI, I LIBERALI E L'ENCICLICA DEL 8-12-1864
Pensieri del Prof. Monsignor Pietro Balan (1841-1893)
Documento storico "Con permissione dell'Autorità Ecclesiastica " edito solo a Padova nel 1865 - Tipografia del Seminario.
***
PREFAZIONE
Questi Pensieri,
che mi furono suggeriti dalle condizioni dei tempi e dalla pietà che mi prese
del traviamento di tanti che seguono ciecamente il parere e la dottrina di
coloro che sanno scaltramente ingannarli, vennero in parte da me pubblicati in
alcuni periodici italiani o stranieri e, per concorrere, quanto è da me, alla
difesa della verità, ritoccati ed ampliati ora li torno dare alla
luce.
Pongo poi il nome mio
in fronte al libretto, non perché creda che possa aggiungere autorità allo
scritto, ma perché quelli d'un certo partito da lungo tempo vanno predicando che
noi Cattolici «parliamo di martirio, ma
ci nascondiamo». Veramente moltissimi di noi non mai si nascosero e, se
talora tacciono il loro nome, si è perché conoscono troppo bene la
tolleranza dei loro avversari. Altre volte la ebbi a provare anch'io, ma
di questo non curo; vedremo se adesso quelli che predicano tolleranza
vorranno adoperarla anch'essi.
In ogni modo, io faccio
il mio dovere e, se posso essere utile a qualche mio fratello, non guardo a quel
che mi costi. Due illustri italiani, cari ad ogni Cattolico, poco prima che la
morte li togliesse alla terra, mi scrissero parole che non dimenticherò
mai.
Il Marchese Antonio
Brignole-Sale di Genova mi scriveva: «Bisogna combattere e non mai stancarsi e
combattere con dottrina e solerzia, poiché non possiamo dissimularci che queste
doti non mancano nel campo dei nostri avversari, e la prima è tanto più da
temersi, quantochè per lo più sorretta da falsi sofismi di cui essi fanno uso e
che i propugnatori del vero debbono diligentemente studiarsi a discernere,
combattere ed annientare».
Il Conte Emiliano
Avogadro della Motta, mi scriveva: «Ah
sì; più che mai adesso ci bisogna avviticchiarci fermamente alla Cattedra di
Pietro, umili nell'ossequio, devoti nell'obbedienza, alacri nelle opere, perché
più che mai potente e carezzevole soffia il vento delle false dottrine
seduttrici».
In queste brevi ma
preziose righe sta il mio convincimento e la mia regola, e spero che, Dio
aiutandomi, non verrò mai meno al mio proposito.
Padova; 6 Marzo
1865.
PROF. P.
BALAN.
_____________
I
CLERICALI, I LIBERALI E L'ENCICLICA DELL'8 DICEMBRE
1864
___________
I. «La lotta contro il Cattolicismo è cominciata
col mondo...» La pugna è tra due soli avversari, il Cattolicismo e l'Eresia,
l'uno sempre eguale a se stesso, l'altra perpetuamente mutabile e mutata. Che
sono Gnostici, Manichei, Pauliciani, Albigesi, Valdesi, Ussiti, Wicleffiti,
Protestanti, Filosofi, Sansimonisti, Fourieristi, Mormoni, Socialisti, se non
negatori del Cattolicismo? Che sono Swedemborgiani, Rongisti, Massoni, che sono
quei settatori di mille e mille altre dottrine, se non nemici del Cattolicismo?
Chi non vede dunque i due campi nemici? Egli è vano gridare: «noi
protestanti, noi deisti.. noi massoni, noi teofilantropi, noi filosofi…»
quando si tratta di combattere bisogna pur dire noi razionalisti o noi
cattolici; tutti gli altri nomi sono inutili o
bugiardi.
Ed è gravissima e
profonda la ragione di questa pugna perpetua tra i seguitatori dell'una dottrina
e quelli dell'altra; come disse uno dei nostri grandi dottori, S. Paolo:
oportet et haereses esse. - Come si conoscerebbe chiaramente la verità se
non avesse contro la menzogna? come si conoscerebbe la forza immensa, la vita
inestinguibile di questa verità, se dinanzi a lei l'errore non si frangesse e
non si mutasse di vista e di nome per potere combatterla di nuovo? Il flutto che
perpetuamente batte iroso questa saldissima colonna, è necessario a provarne la
solidità».
Queste parole scrissi
io nel Marzo del 1864 (1), ed ora le ripeto nuovamente a proposito d'una lotta
che ferve più aspra che mai e che mostra volersi accendere sempre più, perché
forse l'empietà conosce che vinta questa volta, avrà tronchi i nervi e stremate
le forze così da non potere per lungo tempo ritentare la prova, e perciò
s'argomenta con ogni suo sforzo a combattere una guerra che essa spera di
esterminio e di morte al Cattolicismo.
Noi nepoti o figli di
coloro che videro disertato il santuario, dispersi i fedeli, scannati i
sacerdoti, perseguitata la religione e portata in trionfo la miscredenza, noi in
una parola nepoti e figli di coloro che udirono proclamati i nuovi
principii e le grandi conquiste, noi abbiamo veduto l'empietà dopo
breve trionfo disfarsi quasi da sé sola, e dopo una passeggera tirannia
ritornare nell’ombra e tremante nascondersi in seno alle società segrete per
ritemprare le armi sfilate e spuntate, per tessere gli inganni sotto nuove
maschere, per addestrarsi a tradimenti con ipocrisie non a tutti palesi. Ebbene!
noi dunque sappiamo non meravigliarci del riaccendersi del combattimento,
sappiamo guardare in faccia il nemico c conoscerne le insidie, sappiamo non
tremare di lui, ma compiangere il suo accecamento e ridere degli inutili suoi
sforzi.
Sono peraltro
spaventevoli le storie di questa lotta nel secolo XIX; il cuore non ci regge a
ricordarle interamente, ma, giacché tanti non vogliono vedere quello che è pure
così chiaro, ci terremo paghi a scorrere rapidamente su questo funesto
imperversare dell'errore.
La guerra contro la
Chiesa Cattolica fu fatta dapprima colla scure e col carnefice; ma dal sangue
dei martiri sorgevano sempre tanto numerosi i fedeli che alla fine vinsero e
ritornò la pace. Allora accortisi i nemici che le aperte violenze poco valevano,
vennero nel divisamento di adoperare arti occulte e inganni
scaltrissimi.
II. Non so se i nemici
dei Papi abbiano mai osservato sinceramene ai nostri modi di combattere, alle
armi da noi adoperate ed al fine propostoci. Non so se abbiano mai cominciato ad
istituire un confronto tra quelli che essi chiamano clericali ed i
liberali alla moda, il che certissimo sarebbe stato di gran giovamento a chi
avesse voluto conoscere da qual parte stesse la ragione. Sappiamo bene che
questi non sono tempi da esercitare la critica o la logica, robacce tutte due da
medio evo, ma un po' di senso comune da applicarsi ai fatti, un po' di
osservazione... via si possono comportare anche in tempi di
progresso.
E noi questa volta
vogliamo un po' esercitare alcun briciolo di carità del prossimo, di quella
carità che pur i nostri avversari ci rimproverano di non avere, e prendendo per
mano il lettore di qualsiasi capacità e di qualsiasi credenza politica e
religiosa, introdurlo senza sforzi penosi nell'esame di alcune coserelle utili a
fare un pochino di giustizia, a giudicare sinceramente tra noi ed i nostri
avversari. Esamineremo dunque senza ire ma senza timidità, senza offese ma senza
velo: 1. Quale sia lo scopo dei clericali e quale quello dei liberali moderni;
2. Quali siano i mezzi adoperati. Questo ci guiderà a poter giudicare della
importanza, della opportunità dell'Enciclica dell'8 Dicembre 1864, e dei modi
onde dovevano accoglierla e la accolsero i nemici, e degli effetti che essa
doveva produrre e che in fatti produsse. Non domandiamo che animo sincero, amore
della verità e franca confessione quando si è conosciuto da qual parte sia la
ragione.
Qual è dunque lo scopo
dei clericali? Conservare intatto il tesoro della fede ereditato dai loro padri,
conservare intatta quella unità religiosa che formò la grandezza e la gloria
dell'Europa, perché: «Il legame religioso è il più gagliardo che stringer possa
gli uomini» (2), perché: «Quelli principi e quelle repubbliche le quali si
vogliono mantenere incorrotte, hanno sopra ogni altra cosa a mantenere
incorrotte le cerimonie della religione e tenerle sempre nella loro venerazione.
Perché nessun maggior indizio si puote avere della rovina di una provincia che
vedere dispregiato il culto divino» (3): e perché finalmente: «È chiaro che una
società la quale si priva del legame religioso non solo manca per sé di
un vincolo fortissimo, ma viene ad averi o contro di sé. Giacché le varie
credenze religiose formando varie società particolari fermissime, mentre alla
società totale manca il più saldo dei vincoli, debbono tendere perpetuamente a
separarsi. Il quale gravissimo danno viene preveduto da tutti i politici quando
scrivono con sincerità, qualunque siano le preoccupazioni della loro opinione…
Dunque ogni società per conservarsi deve tendere all’unità religiosa»
(4).
E lo scopo dei liberali
massoni? «lo scopo nostro finale, il dicono essi, è quello di Voltaire e della
rivoluzione francese, il compiuto annientamento del Cattolicismo, anzi della
idea cristiana che, restata ritta sulle ruine di Roma, ne sarebbe più tardi la
perpetuazione» (5). Essi vogliono far guerra al Cristo, come scrisse il deputato
Giuseppe Ferrari, guerra alla Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana, regnante in
Roma, dominante per tutta l'Italia», e quindi la rivoluzione italiana, secondo
lo stesso Ferrari, rappresenta l'Italia insorta contro l'Europa cristiana,
contro il sistema della cristianità. Il Becker predica alto che «la religione
bisogna sia tolta anche dall'anima umana», e aggiunge che il suo partito (del
socialismo tedesco) dimanda che l'uomo sia obbligato a non avere credenza
d'alcuna sorte (6). l liberali vorrebbero schiantato dal cuore e dall'animo quel
misterioso vincolo che tutti stringe in fratellevole unione, vorrebbero tolta
quella mistica indefinibile dolcezza che nasce dal conoscersi fratelli in
Cristo, membri d’uno stesso capo, uniti nelle speranze, nei combattimenti, nei
trionfi; vorrebbero rotta quella soavissima catena che abbracciati nella
dilezione ci sostiene nel nostro pellegrinaggio, ci afforza, ci incoraggia, ci
allenisce le sofferenze, ci infiora l'esilio; e quindi predicano il privato
giudizio, incielano la ragione, e sono di quelli dei quali scrisse un grande
poeta cristiano che:
...
Adsueti varias
producere sectas
Religiosa sibi sculpunt
simulacra suumque
Factorem fugiunt, et, quae fecere,
verentur
(7).
«Adori, essi dicono,
adori ciascuno in casa propria i suoi idoli, i suoi penati»
(8).
I clericali perché
vogliono intatta la religione dei loro padri, ne vogliono onorato e libero e
grande il Capo, il Sovrano Pontefice.
«Noi siamo cattolici,
scriveva nel 1861 un giovane allora studente, noi siamo cattolici e non possiamo
starci dal ribattere quanto è in noi, gli assalti che i nemici muovono contro il
Papato, perché il Papato è il fondamento ed il sostegno della verità». - Noi
siamo italiani e non possiamo a meno «di difendere il Papato, perché il Papato è
la sola grandezza vivente d'Italia» (9), e questo grido di fede gli era venuto
sul labbro al vedere tutti i veri cattolici commuoversi e scendere alla
difesa del Papato, perché tutti dirigevano il loro sapere, le loro preghiere, le
loro forze allo scopo di difendere e mantenere illeso il centro della verità,
l'unica vera gloria italiana.
E i loro avversari che
scopo hanno?
Di rovesciare e Papi e
Papato, di frangere la colonna della verità, di abbattere il vessillo della
fede. Chiamano i Papi ed i preti col nome di cancri d'Italia, di vampiri, di
scirri del corpo sociale, di arpie, fino di demoni, di vicarii di Satana, ed
altri orrori che non reggo a notare, e invocano con Giuseppe Giusti che giacché
non si possono annientare «al meno vi sia chi lavori di coltello e d'accetta per
estirparli» (10); e ripetono alteramente che essi combattono nel prete-re
il re insieme ed il prete, e che vogliono conculcata la fede della quale egli è
in terra supremo ministro» (11). Quindi si bandisce guerra al Pontefice, si
raccomanda agli italiani di non «dimenticare un sol momento che il loro capitale
nemico è il Papa, che il Papa è il nemico eterno del genere umano»
(12).
I clericali perché
vogliono libero il Pontefice, lo vogliono re. Lo scrissero, lo ripeterono in
mille luoghi, in mille modi, in mille occasioni; lo proclamarono i Vescovi
riuniti a Roma, lo dissero alto i generosi laici che poco fa ossequiarono il
Santo Pontefice Pio IX, lo protestarono col sangue e colla vita i martiri caduti
in difesa del Papa-re, lo provarono i dotti col confutare e annullare le
calunnie e le bestemmie degli scrittori nemici; lo approvarono, lo predicarono,
lo vollero infine i cattolici di tutto il mondo che fecero arrivare a Roma
milioni e milioni per sostenere il loro padre
spogliato.
E i liberali invece che
scopo hanno in riguardo al Papa-re?
Essi lo vogliono
detronizzato, mendico, esule, confinato a Gerusalemme o ad Avignone, essi lo
insultano, lo maledicono, lo calunniano, essi lo dicono «cancro della società,
nemico della civiltà», essi vogliono Roma, quella Roma che, come scrive in una
energumena prefazione il Ranieri «è occupata da un incubo putrido e schifoso
nella sua forma più laida, nella forma teocratica (13), mentre il grande
avvenimento dell'unità e della indipendenza d'Italia, il grande fatto del secolo
XIX, è l'abolizione del potere temporale del Papa»
(14).
Or bene, chi dei due
fin qui combatte per uno scopo migliore? Non è bisogno essere cattolici per
vederlo: i protestanti stessi lo vedono; ma dopo esaminati gli altri scopi lo
vedranno anche i medesimi razionalisti, gli atei
medesimi.
III. Or vediamo, come
la pensino i clericali ed i liberali nelle altre questioni e quali siano i fini,
come ora si dicono, sociali e degli uni e degli
altri.
I clericali, certi che
la Provvidenza di Dio entra nelle vicende politiche non sperano gran fatto nella
perfettibilità assoluta del genere umano, nel progresso indefinito
ed in altrettali rettoricherie galliche o germaniche che suonano largo e grosso
senza nulla significare. I clericali credono conferma fede nel trionfo della
Chiesa Cattolica, e nelle traversie della vita e nei terribili perigli della
lotta si confortano pensando che tutto è diretto ed ordinato alla vittoria
immancabile della loro religione; loro scopo quindi non è quello di mutare dalle
radici l'antico ordine di cose e stansi contenti a quell'ordine civile sotto del
quale vivono, né altro cercano coi loro sforzi che tenere sulla retta via la
società, che non trasmodi o travii, e raffermarne le fondamenta e le credenze
che la sostengono e reggono e guidano. Voi quindi li troverete sempre in armonia
con sé stessi e, benché amanti più d'un modo di reggimento che di un altro, non
mai congiurare contro di alcuno, sempre predicare e diffondere il rispetto
regolato e legittimo all'autorità.
Per contrario a che
tendono i liberali? Ecco le loro teorie, poste in pratica ogni volta che i gonzi
o i malvagi li lasciano fare: «L'eguaglianza e la libertà, scriveva il
Weishaupt, il maestro del Mazzini e dei suoi, l'eguaglianza e la libertà sono
diritti essenziali. La prima lesione... alla libertà fu portata dalle società
politiche ossia dai governi; il solo appoggio dei governi sono la religione e le
leggi civili... dunque a ristabilir l'uomo nei suoi primitivi diritti di libertà
bisogna cominciare dal distruggere religione e società civile» (15). Quindi il
grido di un deputato al parlamento italiano, dello scrittore del corso sugli
scrittori politici italiani, del professore dell'Accademia di Milano, di
Giuseppe Ferrari: «Guerra ai re; il clero per sé stesso non ha forza ed è nullo;
egli è tutto col favore dei principi e dei re... Chi lavora per i re... lavora
alla schiavitù dell'Italia (16). Le rivoluzioni non sono che guerre contro il
Cristo e contro Cesare» (17). E prima il francese Millon gridava da invasato:
«La face della libertà ha svelato il riparo del delitto. Non più re»
(18).
Ora chi sono i nemici
dei re? sono i clericali od i liberali? né le dottrine sono sterili parole;
abbiamo dei falli che ci provano che si viene all'opera ogni qual volta si
possa. E poi i liberali d’un certo stampo, legittimi eredi dei pagani
persecutori e dei Giansenisti, gittano disdegnosamente in faccia ai clericali il
nome di nemici ai re. Or, furono clericali Pianori, Orsini, Rudio, Gomez,
Agesilao Milano? sono clericali Greco, Imperatori ed i suoi compagni? E quelli
che a loro inneggiarono in mille metri, e quelli che scrissero panegirici dei
Bandiera e dei loro compagni, e Targhini e Montanari e mille altri, e quei bravi
e prodi che comprarono i poeti perché lodassero i tirannicidi, e le Lady
ammiratrici e le Damine cascanti che deposero corone di fiori sulle tombe di
quei grandi, di quegli eroi, furono paste di sacristia e di curie?
E il deputato Gallenga che riceveva un pugnale per uccidere Carlo Alberto, e il
Mazzini che glielo mandava, e il Melegari che glielo portava, furono clericali?
E Atto Vannucci che scrisse i Martiri della Libertà dove hanno sì
glorioso splendore le virtù di tanti regicidi, o nemici dei re, e il deputato
Ricciardi che diede un tributo di ammirazione agli eroi della patria, nel suo
Martirologio Italiano, e il Montazio che nella Biografia del Mazzini. si
fece bello del suo coraggio tutt'altro che regalista, furono o sono
clericali?
Ma il disdegno mi
conduce troppo fuori di argomento, e mi fa quasi dimenticare quella freddezza di
esposizione che pur volea continuare in questa trattazione. Or bene dunque ci
basti dire al lettore: Chiunque tu sia, recati una mano al petto, e sinceramente
giudica chi abbia per scopo la guerra ai re e il rovesciamento dei
troni.
I clericali difendono e
vogliono sicuro il diritto di proprietà e, benché partano da principii un po'
più sovrannaturali, giungono a quella conclusione di Adolfo Thiers: «La
proprietà è un diritto sacro, come la libertà di andare e di venire» (19). E
senza la proprietà mobile non vi sarebbe neppure società, senza la proprietà
immobile non vi sarebbe civiltà» (20).
I liberali invece vengono in campo a
combatterla: «la prima lesione all’eguaglianza fu fatta dalla proprietà...
dunque bisogna finire coll'abolizione di ogni proprietà (21). Il tempo è giunto
di dover noi intendercela coi vili ignavi che si ingrassano delle nostre
fatiche, e dividere egualmente la metà dei beni che ci rubarono…» (22) Il
giornale Le National predicava l'eguaglianza dei beni per tutti,
l'eguaglianza delle fortune e delle condizioni (23). A questi principii fanno
eco tutti i rivoluzionari dei tempi moderni, tutti coloro che sperano
impinguarsi dei beni dei ricchi e del clero.
I clericali mirano allo
scopo di tenere nell'ordine e nella dipendenza la famiglia, ben sapendo che
disciolta la famiglia e rotta la soggezione dei figli ai genitori, delle mogli
ai mariti, dei giovani ai vecchi, la società si sfascia, né più regge concorde,
ed i vizi tutti si uniscono a rompere i vincoli più sacri del sangue e della
natura.
I liberali giurano odio
anche all’autorità famigliare, all'autorità paterna, all’autorità maritale, e
col loro ripetere e ricantare che l'uomo è libero, che non è neppure di Dio,
come bestemmiava Giuseppe Nicolini, vanno sognando e unioni e falansterii e
utopie che riescono ad un panegirico perpetuo dello stato selvaggio, il quale,
come diceva un deputato al Parlamento, è il solo degno dell'uomo, come è il solo
degno del leone il più nobile animale, il re delle
foreste.
I clericali mirano a
conservare nella sua alla dignità il matrimonio difendendo la indissolubilità e
la santità del vincolo coniugale, nobilitato e sublimato all'altezza di
Sacramento, ben sapendo come tutta la società si fondi su questo, e come dalla
sua indissolubilità rampolli l'educazione dei figli, e dalla sua santità la
pubblica moralità (24).
E i liberali gridano
sacrilegamente e protervamente contro a queste necessarie condizioni e,
dipingendo il nodo indissolubile come un importabile giogo e il sacramento come
una ubbia di sacristia, una superstizione, o alla men peggio, un di più inutile,
vogliono condurlo ad essere un mero contratto civile, un concubinato legale o
alcuna cosa di peggio, come lo definì lo stesso Proudhon. E difendono questo
loro scandalo in un nugolo di libri sulla questione del matrimonio
civile, sulla opportunità di proclamarlo e su altri argomenti da far venire
i rossori a Maometto ed a Teodoro Beza.
Potremmo allungare
questo confronto ancora per molto tempo; ma non vogliamo già stancare il
lettore, il quale crediamo ne abbia di avanzo per giudicare. Finiremo la prima
parte col cercare di stringere in un sol centro tutti gli scopi particolari dei
clericali e liberali.
I clericali, che con
Mosè credono l'uomo creato da Dio e avente per fine di servire, di amare, di
godere Dio, cercano rattenere i loro prossimi sulla via che conduce al cielo,
combattono le disordinate passioni e le loro conseguenze; loro scopo finale è di
indirizzare l'uomo a quel fine sublime per cui fu creato, e gli insegnano per
conseguenza di posporre la terra al cielo, i beni materiali agli
spirituali.
I liberali, che credono
coll'illustre De-Filippi e coll'eruditissimo Ferrari, l'uomo nato da' funghi,
dalle scimmie o da mostri giganteschi per opera di mamma natura, e lo credono
piantato qui sulla terra per darsi bel tempo e far dolorare i suoi simili,
cercano infiggerlo sempre più nel fango anzi nel brago di ogni piacere,
lodandone e difendendone i vizi, e loro scopo finale è di fargli dimenticare il
cielo per la terra «quel cielo al quale si è già pensato troppo» come scriveva
il professore filosofo di Pavia, Ausonio Franchi; di fargli dimenticare il suo
vero fine, di fargli credere d'esser creato per capriccio, e di non avere una
seconda vita, conducendolo per conseguenza a divenir bruto per essere
indipendente.
Or ridomandiamo noi,
chi ha scopo migliore? I clericali od i liberali? Noi non abbiamo in nulla cosa
ingrandite o guastate le dottrine degli uni e degli altri, e d'altronde fatti ed
avvenimenti quotidiani mostrano come non abbiamo fatto che compendiare dottrine
predicate e messe in pratica ogni dì. Il lettore giudichi intanto dello
scopo, che noi ci prepariamo a dargli materia di giudicare anche dei
mezzi.
IV. Or veniamo ai modi
di battaglia ed ai mezzi usati dai liberali e dai clericali. Qui non possiamo ad
ogni passo raffrontare i due avversari, perché i liberali usano di mezzi ben più
numerosi e vari che non i clericali, quindi prima parleremo di quelli, poi di
questi; toccando, se non largamente di tutti, almeno di alcuni mezzi, per tal
modo da dare una idea raffermata dai fatti per chi voglia giudicare le due
parti, e un modo di difesa e di istruzione a tanti incauti che lasciansi
allacciare così facilmente e irretire nelle insidie e nelle trame dei
malvagi.
Nel 1822 un ebreo
caposetta, conosciuto sotto il nome di piccolo tigre, scriveva
gongolando: «Presto avremo a Malta una stamperia a nostra disposizione, potremo
dunque impunemente, a colpo sicuro, sotto bandiera inglese, spandere dall'un
capo all'altro d'Italia i libri, i libelli, ecc. che la vendita
giudicherà opportuno mettere in circolazione» (25).
Possiamo noi,
rammentandoci quante calamità e quanto guasto ci richiamino in mente queste
parole, possiamo noi, noi Cattolici ed Italiani, conservarci freddi, pacati,
placidi espositori di questi mezzi e non prorompere di quando in quando nelle
parole di dolore che a disfogo del cuore ci vogliono pur uscire di
bocca?
E chi non geme al
vedere il guasto orribile che menarono le sconcezze e le empietà uscite prima da
Malta, poi da Capolago, da Torino, da Genova, da Firenze, da Milano, da quasi
ogni città d'Italia? Si va lamentando continuamente che non vi è più buona fede,
non più pudore, non più saviezza, non più generosità. Qual meraviglia! I
liberali hanno già libertà di stampa da un pezzo, e ne usano ai loro fini; le
sette hanno già diffuso in ogni parte i libri che la vendita ha giudicato
opportuno mettere in circolazione. Si dia uno sguardo dalle bibliotechine
eleganti delle dame ai poveri ripostigli dei giovinetti del popolo, e vi si
troveranno di bei maestri di pudore e di virginale verecondia. Le più luride
infamie degli scritti d'una dama adultera fino nel nome, come la chiamava Pietro
Giordani, mascheratasi sotto nome di Giorgio Sand, le più turpi e sconce novelle
che Eugenio Sue, condotto dal suo abbrutito e selvaggio ingegno, trasse dai
postriboli e dai covi dei comunisti, le sconcissime scipitezze di Paolo de Kok,
le fine ribalderie del Balzac, le disperanti frenesie del Goethe, le infamie
morali del Marmontel, le pungenti empietà del Voltaire; qualche strana
lambiccatura dell'Hugo, ecco i libri prediletti delle signorine e dei giovani,
se pure al più non si aggiunga la Isabella Orsini del Guerrazzi, e alcuni
dei libri moderni che farebbero arrossare al titolo solo qualsisia più rotto e
scapestrato giovinastro. E gli animi gentili delle giovanette possono uscire
intatti da quel brago pestilenziale? Ce lo dicono e ce lo provano le statistiche
dei suicidi e delle turpezze. E può essere altramente? L'animo dei giovani si
informa facilissimamente alla lettura degli autori e si piega con incredibile
prestezza alla parte in che lo traggono i libri, che a chi non ha esperienza di
mondo sono tutta la vita. E quale animo giovanile, colla natura corrotta che
piega al male star saldo potrà leggendo panegirici e lodi grandissime dei vizi?
quale potrà tenere altra credenza vedendosi sempre messo innanzi il duello come
costume generoso e cavalleresco, il suicidio come fortezza e magnanimità, il
tradimento come finezza di furberia, il pugnale, il veleno, come alto ardito da
ammirarsi qual prodezza, la scostumatezza, la turpitudine come gentilezza e
dolcezza d'animo ben fatto? quale potrà amare la virtù vedendosela dipinta a
colori più neri che i rozzi pittori dei medii tempi non dipinsero il demonio?
quale distinguere più il male dal bene sentendosi per letture tristissime
tenzonare nel capo il dubbio se una cosa sia vizio o virtù? Quale potrà
rispettare, amare la religione se a forza di sentirla combattere sotto il nome
di fanatismo, di superstizione, l'ha tolta ad odiare? Oh! sì, cerchiamo santità
e purezza d'affetti in chi ha imparato ad odiare il matrimonio come un legame
insopportabile, una catena pesantissima, una crudeltà violentissima; cerchiamo
innocenza in chi è già fatto maestro d'ogni arte di nequizia, cerchiamo
religiosità in chi già nutre odio accesissimo contro i ministri di Dio stesso.
Ora, date i Misteri di Parigi ad una santa e pura verginella, gli scorra,
gli legga, e poi mi saprete dire se non si porrà ad odiare le leggi della
società che le vengono sì bruttamente dipinte. Ed oggi mai siamo condotti a
tanto stremo che è impossibile si possa andare più innanzi. E non bastano i
romanzi ma si scrivono storie, biografie, poesie, allo stesso scopo. Si cercano
infamare Chiesa e Cattolicismo col falsarne la storia. Leggete i libri di quei
liberali e resterete ammirati della fronte di bronzo colla quale vi vengono
innanzi a narrare storielle mille volte confutate. Per essi i Papi sono tiranni,
la Chiesa avara, iniqui sanguinari i Vescovi ed i preti, stolti o empi i
credenti; per essi la storia della Chiesa non è che un continuo delitto. Che
importa a loro l'essere sbugiardati ogni dì? Oggi vi vengono innanzi con
Alessandro III usurpatore di diritti non suoi, ingiusto scomunicatore del
Barbarossa, domani vi diranno di Alessandro III traditore dei Lombardi. Se
mostrate queste due asserzioni essere favole o calunnie, vi danno dell'ignorante
in capo, vi portano due passi di protestanti; se non restate convinti, siete
tronchi, asini, caparbi, e così la dimostrazione è bell'e compiuta. Ed hanno il
coraggio di venir poi innanzi mesti e doloranti, deplorando la infamia dei
clericali che «a difendere il temporale storcono i passi degli autori e guastano
le storie». Or sono veritiere le storie di G. Lafarina, Gallenga, Montanelli,
Gualterio, Farini, Brofferio, Ricciardi, De-Boni, Ferrari; Ranieri, di quei che
si fecero panegiristi della nuova Italia, e di alquanti altri, che pur si danno
tra loro da falsari, da bugiardi, da servi d'un partito, d'una setta, e sono
tutti fiore di liberali? E Franco Mistrali, e De-Vecchi e Vannucci e molti dei
compilatori della Galleria nazionale e tutti quei del Panteon della
libertà... sono storici veracissimi? Chi li ha letti lo sa e può dire
sicuramente che la povera musa della storia non è mai stata strapazzata e
malmenata da alcuno più che da quei messeri.
Dopo le storie vengono
le biografie e le poesie, altra bella merce messa in corso da quei scrittori che
servono la setta. Nelle loro biografie si vuole infamare Pio IX, si dice che «il
Papato è divenuto a mano a mano uno scheletro, una commedia sinistra popolata di
ombre e di spettri palpabili, una smisurata ambizione senza alcun mezzo onesto e
legittimo per raggiungere il fine, una società commerciale, che traffica gli
avanzi della credulità umana per far danari e mantenersi in potere» (26) nelle
loro poesie si prende in argomento Orgie levitiche e despotismo (27), in
quelle si canta che
Il
mondo
Ha un altro vero che
non sta fra l'are,
Né un tempio vuol che
gli nasconda il cielo (28).
E i malvagi,
zelantissimi di propagare i loro errori, si uniscono in società e stampano a
migliaia tali libri, che fanno arrivare in ogni città, in ogni paesello e spesso
nelle campagne. E non solo li vendono a tenue prezzo, ma li donano alcuna volta,
li danno a leggere a chi non li vuole, e con minacce o con moine li fanno
leggere alle innocenti giovinette, li traforano nel clero, e tentano introdurli
perfino nelle comunità religiose. E perché poi i giovani non abbiano troppo
sconcio e troppa spesa a poter leggere questi libri, in molte città d'Italia con
due soldi al giorno si possono prendere a prestito dai librai che li tengono per
questo; e perché arrivino anche nelle piccole città e fino nei villaggi, vi
hanno dei pagati che con una botteguccia ambulante vanno per i mercati e per le
fiere.
Questo è il primo dei
modi di battaglia dei liberali; tutti gli altri mezzi rispondono pur essi a
capello ai fini iniqui, che essi si proposero.
V. E siccome quei
sciagurati corrompitori ben si conoscono delle arti che furono sempre le più
acconce a guastare la gioventù, così a quelle singolarmente si attengono, e
quindi (per tacere dì certi misteri che svelare non si possono senza pericolo
della innocenza e che chi non è rotto ad ogni nefandezza non sa descrivere)
tolta in aiuto l'arte fotografica, espongono all'occhio semplice e puro della
gioventù italiana oscenissime e turpissime scene, immagini sconcissime, atti
infami e cose sì laide da fare arrossire ogni più spudorato. E queste infamie si
veggono messe in pubblica vista, in luoghi frequentatissimi da sciagurati che o
sono complici, o sono tanto in basso venuti da curare più un turpe guadagno che
non le anime di tanti miseri giovanetti che in questo scoglio pericoloso rompono
con somma facilità e divengono poi il flagello delle città e delle
terre.
E tutto per trascinare
nei covi delle società segrete i giovani.
«Bisogna andare alla
gioventù, questa bisogna sedurre, questa noi dobbiamo trascinare sotto il
vessillo delle Società Secrete» (29).
A questo fine è
necessaria la ipocrisia, ed ecco un'altra arme che usano
sempre.
«Lasciamo, diceva un
settario ardente, lasciamo ridere della nostra infinta devozione, chè con questo
passaporto possiamo cospirare a tutto agio e condurci a poco a poco al fine
propostoci» (30). Così adoperava pure Voltaire che scriveva ai suoi amici: «Non
ridete che io faccia le mie Pasque da fedele cristiano». E le stesse istruzioni
secrete più volte citate, insegnano ai settarii: «Dovete aver aspetto di
semplici come colombe, ma sarete prudenti come il serpe; i vostri padri, i
vostri figli, fino le vostre mogli dovranno sempre ignorare il segreto nel
vostro seno portato; e se volete, per più ingannare l'occhio inquisitoriale,
andate a confessarvi… Andate alla gioventù. Guardatevi con quella dai motti
empii ed osceni: maxima debetur puero reverentia. Ricordate sempre queste
parole del poeta che vi serviranno di guardia contro le licenze, dalle quali
bisogna starsi per amore della causa. Per far fruttare questa causa all’ombra
d'ogni famiglia, per farvi dar luogo al focolare domestico, vi ci dovete
presentare con tutte le apparenze di uomini gravi e morali... Con poca spesa voi
vi formate una fama di buon cattolico. Questa fama farà luogo alle nostre
dottrine nel seno del giovine clero e fino nei conventi»
(31).
Dopo la ipocrisia, la
calunnia. Ma a che enumerare, ad una ad una, le arti di quei che si fanno
chiamare liberali e anticlericali? Ecco alcuni documenti che li faranno
conoscere meglio di quello che potremmo far noi. Non sono forse nuovi a tutti,
perché pubblicati in parte e dal Crétineau -Joly e da altri, ma non sono vecchi
perché sono chiari e perciò utilissimi, e perché sono una spiegazione necessaria
alla storia moderna.
«Poco vi è da
guadagnare coi vecchi cardinali o coi prelati che si mostrano risoluti. Bisogna
lasciare gli incorreggibili alla scuola del Consalvi, oppure nei nostri
ripostigli metter mano alle armi di popolarità o di impopolarità che renderanno
inutile o ridicolo il potere nelle loro mani. Una parola che si inventa con
abilità e che con arte si fa correre in certe scelte famiglie oneste, perché
di là scenda nei caffè, indi nelle strade, una parola può alcuna polta
uccidere un uomo. Se un prelato arriva da Roma per esercitare alcun uffizio
pubblico nelle province, studiate tosto il suo carattere, le sue azioni passate,
le sue qualità e singolarmente i suoi difetti. È un nemico dichiarato?...
Inviluppatelo di tutti i lacci che potrete tendere sui suoi passi; formategli di
quella fama che spaventa i fanciulli e le vecchie; dipingetelo crudele e
sanguinario; raccontate alcuni tratti di crudeltà che facilmente restino in
memoria del popolo. Quando poi i giornali stranieri raccoglieranno da noi questi
racconti che (certo a rispetto di verità) abbelliranno, mostrate o piuttosto
fate mostrare da qualche rispettabile imbecille questi fogli, dove sono
registrati i nomi egli eccessi di quei personaggi».
«In Italia non
mancheranno di queste penne venali, che sanno temprarsi nelle menzogne utili
alla buona causa; non ne mancano neppure in Francia ed in Inghilterra.
Schiacciate il nemico, qualunque sia, schiacciate il potente a furia di
maldicenze e di calunnie» (32).
E di vero così hanno
operato d'allora in poi; ne siano prove le ingiurie e le calunnie dapprima
contro Consalvi, poi contro Antonelli, contro Pio VIII, Leone XII, Gregorio XVI,
Pio IX; ne sia prova lo strepito per il fanciullo Mortara, per la faccenda
Locatelli (33), per la ribellione di Perugia e per mille altre
cose.
«Abbiate l'occhio
sempre aperto su ciò che succede a Roma, spopolarizzate la pretaglia con ogni
sorta di modi.... abbiate dei martiri, abbiate delle vittime, noi troveremo
sempre chi saprà dare a ciò i colori necessari»
(34).
Ma ciò non basta. Ecco
altri precetti: «Nella impossibilità (così scriveva un ebreo all'Alta Vendita
Piemontese il 18 gennaio 1822) nella quale si trovano i nostri fratelli ed amici
di dire ancora il loro ultimo motto, è stato giudicato bene di propagare in ogni
dove i lumi e di dar la spinta a tutto che aspira a cambiamenti. È perciò che
noi non cessiamo di raccomandare a voi di affiliare a qualsiasi Congregazione
misteriosa ogni uomo. L'Italia è coperta di confraternite religiose e di
penitenti di vari colori; non temete di cacciare qualcuno dei nostri in mezzo a
quelle greggi e (sic) guidate da una devozione stupida (sic); che costui studii
diligentemente le persone di queste Confraternite, e vedrà che a poco a poco non
mancherà la raccolta. Sotto il pretesto più futile, ma giammai politico o
religioso, create voi stessi o meglio fate creare da altri delle associazioni
che abbiano per oggetto il commercio, l'industria, la musica, le belle arti.
Riunite in un luogo od, in un altro, anche nelle sacristie e nelle cappelle, le
vostre tribù ancora ignoranti, mettetele sotto la veste d'un prete virtuoso,
conosciuto, ma facile ad ingannarsi e credulo, infiltrate il veleno (sic) nei
cuori scelti, infiltratelo a piccole dosi, come per accidente; poi pensandoci,
voi stessi resterete attoniti del vostro successo. Diffidiamo singolarmente
della esagerazione di zelo; un buon odio, ben freddo, ben calcolato, ben
profondo, vale più che tutti i fuochi di artifizio»
(35).
Né queste sono tutte le
armi onde combattono i liberali: ben altre ne hanno e alcuna fiala più
terribili; ma siccome ci basta accennare alle principali e più evidenti, così
lasciamo di molte e discorriamo solo di quelle che bastano a farli
giudicare.
VI. La corruzione, la
ipocrisia e la calunnia furono dunque sempre le armi predilette dei liberali;
noi lo abbiamo provato. A queste arti si aggiungono schiamazzi vergognosi,
tradimenti, minacce, assassinii, e lo proviamo
adesso.
Schiamazzi. - Le Suore
del Sacro Cuore cercavano metter su convento a Pisa. Favoriva quella fondazione
il Canonico Luigi della Fanteria, Vicario dell'Arcivescovo. Fanteria aveva già
comprato il locale per le suore; né mancava altro alle monache che andarci a
stare. In quel mezzo veniva a Pisa il conte Luigi Serristori, governatore. Qui
lasciamo recitare il fatto ad un liberale di dieci carati, professore di
Università, deputato al Parlamento italiano, ecc., a Giuseppe Montanelli.
«Serristori, dice egli, fece certi i liberali pisani dell'imminente pericolo
(!!! sic); vi fu chi credé da alcune parole, come scappategli di bocca,
che invocasse una dimostrazione; e una trentina o poco più di liberali, la
maggior parte di famiglie civili, fra i quali taluni che in seguito hanno
primeggiato fra i più schizzinosi di questa specie di proteste, convennero sulla
piazza del Duomo la sera del 21 febbraio e di là mossero a lapidare le vetrate
del Canonico della Fanteria, schiamazzando contro ai gesuiti, alle gesuitesse
(sic) e ai loro protettori. E la polizia, com'era prevedibile, non vide
nulla, non inquietò nessuno dei lapidatori, e il governatore poté riferire al
ministero che il malcontento popolare aveva fatta rumorosa esplosione» (36).
Quante viltà, quai tradimenti, quale bassezza si fa vedere apertamente da questo
solo atto!
Ma ecco un altro che
può servirgli di appendice ad insegnare a chi è ancor bimbo in queste scienze.
Il Montanelli pensò scrivere una protesta contro quelle povere Suore, e
presentarla al ministero. Ma come farla per le firme? Attenti, o lettori, che di
qui conoscerete bene come si ottengano e quanto valgano le proteste popolari e
con quali mezzi i liberali uccellino alle sottoscrizioni: «Stavano, racconta il
deputato stesso, in casa mia, alcuni fra i più intimi, ordinando la campagna per
la conquista delle firme, ancora incerti d'onde cominceremmo gli attacchi ai
nomi che contavano». Ed ecco Arconati che conduce il Prini a firmare… «Aiutato
dai miei amici, raccolsi in due giorni 246 sottoscrittori fra professori e i più
notevoli cittadini di Pisa. Certamente non tutti questi firmarono colla
intenzione di far prova di coraggio civile (sic); vi erano quelli che non
potevano dire di no a me; quelli che, avrebbero detto di no a me a quattr'occhi,
ma non osavano dirmelo in presenza di testimoni che avevo l'accorgimento di
condurre meco; quelli avvezzi ad andare dietro a certi altri, cui bastava vedere
i loro cert'altri firmati per firmare alla cieca; quelli che non firmando
avrebbero avuto paura di cadere in disgrazia del governatore; quelli che
sapendomi famigliare con Cempini supponevano fossi d'accordo con lui e credevano
fare cosa desiderata dal capo del ministero» (37).
Queste arti così basse
e così spessamente usate, alcune volte non sortirono effetto ed allora si
adoperarono altri mezzi. Lettere cieche o sottoscritte con nomi falsi, ora da un
tale ora da un altro, circolarono e piovvero in casa agli onesti cittadini che
vi si videro minacciati nella roba, nella vita, nell'onore, che vi trovarono
ingiurie, offese, villanie e sconce indecenze, né le lettere cieche e le minacce
pubbliche restarono sempre parole. C. Sodani ha scritto che per disfarsi dei
clericali ogni mezzo è buono, ed i suoi consettarii misero in opera il suo
avvertimento. Difatti Lisimaco Verati o Giuseppe Pellegrini (chè sotto i due
nomi corre il libro) nella lurida operaccia: Della tirannide sacerdotale,
ec. suggerisce mille modi l'uno più empio e più infame dell'altro a togliere
al clero ogni libertà, ed esorta «i capi delle nazioni, qualsivoglia religione
professino,che siano irremovibili, inflessibili nel solenne dogma (sic) di
tenere infrenato il clero e strettamente suggetto alla podestà secolare, anche
rispetto a quelle spirituali bisogne che possono influire nelle temporali... Lo
Stato sia il vero unico Signore, la religione ministra»
(38).
Niccolini, Giusti,
Franchi ed altri di tale risma (come risulta dai loro scritti) eccitarono sempre
a non rifuggire da alcun mezzo vituperoso ed infame per far trionfare i
principii liberali. Dopo tali dottrine predicate e ripetute sui fogli, sui
periodici, dappertutto, non fa meraviglia se vennero i fatti. Dei tradimenti
venuti donde meno dovevano, anche da ambasciatori terrà conto la storia, ed i
nostri figli forse non crederanno a quanto essa racconterà; degli assassinii
politici e numerosi, anche dirà la storia donde vennero, sotto quali pretesti
fossero consumati; noi ne tacciamo perché non potremmo dire che le cose a metà.
Solo ricordiamo che tentativi di assassinii ne nascono ogni dì e tutti per il
bel pretesto della libertà; ricordiamo che nel Parlamento sedette un regicida, e
più di un italiano ha di fresco subito condanna per aver tentato di uccidere
Napoleone III. Solo osserviamo che l'assassinio politico non si conobbe che dopo
l'aurora di libertà e le gioie del liberalismo; che chi non si poté uccidere, si
perseguitò, si infamò, si insidiò fino nella vita domestica, che molti onesti
conoscono la loro rovina dalle persecuzioni sorde e traditrici dei liberali, e
non per altro che perché non consentivano coi loro principii. Avremmo documenti
molti a provare queste nostre asserzioni; ma a che dilungarci nel riportarli?
Bastano i libri dei liberali per farli conoscere. Chi non inorridisce al vedere
che un milione di teste si stima poco per conquistare la libertà? Chi non freme
al leggere che il carro della rivoluzione passerà sui cadaveri di quelli che le
si oppongono? E i bandi sanguinari (del Pinelli e di altri) omai di venuti
proverbiali per ferocia inaudita, e le stragi di intere famiglie, e gli incendi
di paesi e borgate non sono cose da far spaventare di orrore? A che dunque
riportare documenti? Ma ciò non ostante nomineremo la raccoltina di lettere
anonime e settarie conservateci in un documento del tomo I dei Rivolgimenti
Italiani, nomineremo ancora le esortazioni del Verati, gli scritti del
Mazzini, gli atti del processo Fausti-Venanzi, quei della Unione Italiana di
Napoli, quei di Ancona, e finalmente nomineremo la storia dell'Italia
contemporanea. Uno sguardo solo di passaggio dato a questa terra infelice anche
colla guida dei suoi diari liberali, farà conoscere meglio di quello che abbiamo
fatto noi i mezzi onde si servono i liberali.
Corruzione della
gioventù con libri empi e stampe oscene, ipocrisia, calunnia, arti, tradimenti,
minacce, assassinii.
Ed i clericali? In
mezzo alle persecuzioni ed ai dolori, i clericali adoperarono sempre le stesse
armi, armi di tempra ben più fina e di effetto ben più sicuro che quelle
molteplici dei loro nemici. Una costanza invincibile, una rassegnazione a tutta
prova e la fiducia in Dio e l'amore alla giustizia li fortificarono; essi
ricorsero primieramente alla preghiera. I gemiti, le lagrime, i sospiri degli
oppressi e degli addolorati penetrarono fino ai piedi del trono del Dio di
misericordia, che forse per essi abbreviò la durata della prova. È vero, i
Clericali non si tennero solo alla preghiera, ma operarono; e usarono di tutte
le altre armi consentite dall'onestà, dalla rettitudine e dalla santità della
causa che difendevano. Adoperarono la stampa e gittarono in faccia ai loro
avversari le turpezze e le menzogne onde si cercava oscurare ed insozzare la
purezza della fede e la virtù dei ministri dell'altare, ricacciarono in gola ai
venali giornalisti le tante calunnie onde si cercava trascinare il popolo ad
odiare i suoi veri amatori, i veri suoi protettori e soccorritori. Poi, quando
il Pontefice spogliato di tutto fu quasi costretto a mendicare, generosamente lo
aiutarono e con amore tutto filiale largheggiarono con lui dei propri beni e del
proprio danaro e lo difesero tradito ed abbandonato, e morirono per lui e per la
fede, quando figli snaturati dislealmente assalirono le sue terre per rapirgli
fin l'ultima delle sue città. Ma i clericali usarono di queste armi perché era
loro dovere, non perché credessero bastare a renderli vincitori. La loro fiducia
fu sempre in Dio, in quel Dio che atterra i suoi nemici quando credonsi
trionfanti, e che suscita i suoi fedeli quando sembra che debbano soccombere
sotto la oppressione degli avversari. E perciò, aspettando il di della
giustizia, sperarono sempre, confidarono sempre né mai si abbassarono a veruna
viltà di artifizi o di scellerate arti, né ricorsero a violenze, ma patirono e
soffersero, combattendo cogli scritti e colle
preghiere.
Lunga e dolorosa è la
storia delle persecuzioni che si adoperarono a vincerli, a disperderli, a farli
almeno cader d'animo; ma le lagrime e le sofferenze dei giusti sono contate nel
cielo e le benedizioni di Dio spesso per quelle scendono fino all'animo del
peccatore e lo ammolliscono e lo piegano; e l'arme della preghiera derisa e
sprezzata dai tristi spesso affretta il momento della
vittoria.
VII. I nemici della
Chiesa conoscevano queste armi dei Cattolici, e non volevano farle più tremende
con una aperta persecuzione. La guerra, secondo le istruzioni dei capi settari,
si doveva combattere colla ipocrisia, si doveva incatenare accarezzando, si
doveva offendere la dignità con grande rispetto al nome. Si appigliarono dunque
al partito di mostrarsi tutti ossequenti al Romano Pontefice, di chinarsi
innanzi a lui, di mostrarsene i difensori e, sempre fingendo devozione, lo
accusarono, lo derubarono, lo spogliarono. Dicendosegli figli devoti, lo
tradirono; il Vicario di Cristo doveva essere venduto con un bacio non
altrimenti che il suo Maestro Gesù.
Tutti gli scritti dei
nemici della Chiesa erano ripieni di ipocrite proteste di filiale
devozione, di amore al Papa, anzi ad udire coloro, dispogliavano la
Santa Sede del suo dominio temporale. solo per farla più pura e più venerabile.
Sono queste le parole della ipocrisia, sono la maschera che ricopre il volto;
ora vediamo brevemente poche delle moltissime parole e pochissimi degli
innumerevoli fatti veri ed aperti, vediamo il volto che ci stava
celato.
L'illustre Vescovo
d'Orléans ha già mostrato alla Europa doppiezze, viltà, turpezze, delitti
incredibili; la Francia fu scossa a quelle rivelazioni ed a quei ricordi così
spaventosi e l'Italia arrossò d'essersi lasciata precipitare nell'abisso senza
accorgersene.
Eppure da lungo tempo
poteva conoscere i suoi nemici nei nemici della
Chiesa.
Il 10 Febbraio 1855,
l'Avvenire di Nizza scriveva: «Il Piemonte dopo che fa la guerra alla veste
nera, comincia a guadagnare il mio cuore. Lo schiacciamento dell'infame fatto da
Voltaire fu molto incompiuto; occorre terminare la bisogna...» Qui ci fermiamo
chè il resto ci farebbe vergognare di essere
italiani.
E quando poté farsi
apertamente la guerra al Papato, sempre protestando sommissione e amore, si
operò peggio, si fece quanto si poté per rovesciare la Chiesa. «Combattete il
Papa ed i Cardinali, combatteteli a tutto potere» gridava Garibaldi. E questo
ripeteva ad ogni occasione e in tal modo che bastano le sue parole per far
conoscere lo spirito che guida i nemici della Chiesa, e i fatti di cui sono
capaci. La guerra dunque fu fatta atroce ma mascherata, lenta dapprima e
perseverante, poi precipitosa e furibonda. L'Italia divenne preda della
Rivoluzione e i ministri di Cristo e i fedeli del Cattolicismo furono oppressi,
perseguitati, esiliati e derubati in nome del diritto e della
giustizia.
Esiliati i Vescovi,
impediti nel loro ministero, imprigionati al suono delle parole libera Chiesa
in libero stato, proposte e adottate leggi l'una più dell'altra nemica della
libertà della Chiesa, insomma operato in tal modo che un francese, scorrendo la
storia degli ultimi anni in Italia, chiedeva: «E chi dunque potrebbe aver
commessi tanti delitti, se non fosse lo spirito fatale del disordine che dopo
Voltaire non ha cessato di soffiare sull'Europa l'odio a Dio ed ai Re?.. Ieri lo
spirito del disordine faceva in Francia strazio e rovina, oggi in Italia sparge
sangue ed oppressione. Ieri si chiamava Robespierre o Marat, oggi si chiama
Mazzini, N…, Garibaldi; e questi nomi diversi che servono a distinguere i suoi
diversi attributi e le sue diverse fasi politiche, non ne formano realmente che
un solo, il quale è scritto nella Storia con lettere di sangue! Questo nome
formidabile è la Rivoluzione (39).
Con tutto ciò si
continuava sempre a dire che la guerra non si faceva alla Chiesa e che la
Religione Cattolica si rispettava; si diceva che a Roma si combatteva il Re non
il Papa e molti disaccorti restavano ancora presi a questo laccio. La
Provvidenza ora tolse anche quest'ultimo modo di inganno ai nemici della
Religione ed essi furono costretti a scoprirsi interamente ed a mostrarsi quali
veramente erano sempre stati.
VIII. L'8 Dicembre
1864, decimo anno dalla promulgazione del dogma dell'Immacolato
concepimento di Maria SS. l'immortale Pio IX mandò ai Vescovi una Enciclica
che strappò ogni velo e che, ferendo nel vivo gli anticattolici, fece loro
dimenticare le solite precauzioni e li costrinse a finalmente cessare dalle
ipocrisie. Era quell'Enciclica un atto del Papa e non del Re, un atto del
supremo maestro delle coscienze, non del principe di poche migliaia di sudditi.
Era dunque un atto puramente religioso, né governi i quali predicavano
continuamente volere la Chiesa libera, né Stati i cui ministri ed i cui
capi si dicevano e si ripetevano figli devoti della Chiesa, protettori
del Papato, difensori della Santa Sede, dovevano per nulla commuoversi ad
ira, e tanto meno poi dovevano mostrarsi turbati e adirati quei tanti scrittori
che desideravano la grandezza della Chiesa, la purità della dottrina, e che
professavano così caldo amore al Papato spirituale. Pure non fu così ed
appena comparve la Enciclica, costoro si diedero a bestemmiare contro questa
tarlata istituzione del Papato, contro questo vecchio edifizio,
contro «questo pontificato contrario e nemico a civiltà che, cieco e stolto si
scavava da sé stesso la tomba».
E coloro che dicevano
queste e peggiori scelleratezze erano quelli stessi che, scaltramente usando
della ipocrisia, avevano già ingannati tanti creduli lettori e avevano fatto
credere amare essi la Chiesa, ma amar pure la patria; essere contrari al
principato civile dei Romani Pontefici, non già allo spirituale magistero. Oh,
veramente è la scienza di Dio che illustra Pio IX, veramente è la Provvidenza di
Dio che guida e dispone gli atti della Chiesa! Quale altro atto sarebbe venuto
così opportuno e così potente a far deporre il mentito aspetto e le ingannatrici
finzioni agli avversari della Chiesa, quanto l'atto dell’otto Dicembre 1864?
Quale altro atto avrebbe più compiutamente sconfitto l'empietà e l'errore nei
suoi più intimi ripari?
Le ire medesime cotanto
furiose dei mille giornali della rivoluzione, in ogni paese formano un coro di
voci che cantano l'inno di trionfo alla Chiesa. Perocchè con tanta bava
vomitata, con tanta ira e così accesa che mostrarono questi nemici del Papa, che
cosa si è provato? Che essi osteggiano la Chiesa ed il Cattolicismo, che
predicano libertà sognando catene alla religione, che domandano carità
calpestando le più auguste dignità, vituperando i personaggi più onorati e più
venerandi; che essi, nella impresa stolta di combattere la verità cattolica non
disdegnano far lega coi socialisti, coi panteisti, cogli atei, cogli increduli,
coi furfanti d'ogni maniera. Si è provato che l'Enciclica li ha feriti nel
cuore, ha strappato la maschera agli apostati dal monastero o dal sacerdozio,
agli scrittori ipocriti ed infinti, ha dato una terribile sconfitta alla
rivoluzione, ha costretto i Giuda ad affrettare il tradimento, ha disingannato
ed illuminato coloro che si erano lasciati abbindolare dai falsi cattolici, ha
rinnovato l'avvertimento dato tante volte ai potenti che salute è solo nello
starsi uniti alla Chiesa, ha diviso decisamente i due campi nemici, ha scoperto
Satana e l'opera sua e la ha additata con sicurezza mirabile; si è provato
insomma che l'idra rivoluzionaria si sente vinta, ferita a morte, pesta dalla
pietra possente della quale è scritto che sfracellerà colui sopra il quale
cadrà, si è provato che il Papato combattuto, tradito, osteggiato, vilipeso,
malmenato, bestemmiato dai suoi nemici, sa comporre per loro l'orazione funebre
nel tempo che essi gridano il trionfo, che Gesù Cristo finalmente si è svegliato
dal mistico sonno, che la fedeltà dei buoni è stata provata abbastanza e che ben
presto il cenno divino farà quietare i venti ed il
mare.
IX. All'apparire
dell'Enciclica e del Sillabo alquanti dei rivoluzionari simularono noncuranza e
sicurezza ma non poterono durarla a lungo; il tempo della simulazione era
finito; bisognò mostrarsi alla luce del sole senza veli, senza
maschere;
In Francia fu proibito
pubblicare l'Enciclica ed il Sillabo ai Vescovi soltanto, mentre quei due atti
papali furono dati a straziare ai giornali ebraici, volteriani e massonici che
vi dissero sopra tali orrori e tali stravaganze da crederli invasati od
impazziti. Ma questo non bastava; si volle intimorire il Papa e ridicolamente si
cercò risuscitare il gallicanismo che, morto da lungo tempo, invece che rivivere
ebbe solenne sepoltura, conciossiachè tutti i Vescovi si stringessero
maggiormente alla Santa Sede di Roma e protestassero contro i folli tentativi di
coloro che, sotto nome di libertà gallicane si argomentavano di creare
schiavitù alla Chiesa. Visto fallire questo modo creduto possentissimo e
vista quest'arme spuntarsi, si diede di piglio ad un'altra. Dal 1859 in qua, un
certo oscuro scrittore, il sig. Cayla di quando in quando usciva con un qualche
opuscolo inteso a difendere atti contrari alle tradizioni della Francia
Cattolica e discordanti dalla religiosa pietà dei suoi re, oppure diretto a
preparare la via a qualche nuova azione troppo diversa per verò dalle generose
parole che spesso per lo addietro sentirono ripetersi a racconsolare e
rassicurare le trepidanti ansietà dei Vescovi e dei cattolici francesi. Non
possiamo credere che il Cayla sia stato scelto come il Laguérroniére a servire
del suo nome scritti di altri, chè i suoi scritti sono troppo miserabili e
meschini per crederli d'altri che di lui; ma quello però di che possiamo essere
persuasi si è che costui conosce forse qualche progetto arcano e penetra
addentro nei consigli misteriosi che, custoditi gelosamente, solo di quando in
quando escono a mostrarsi.
Or bene, codesto
scrittore che ha fatto la apologia del demonio (40) è or ora uscito a combattere
l'Enciclica dell' 8 Dicembre, in un opuscoletto smilzo e così leggero e
superficiale da non potersi credere. Egli lo ha intitolato César pontife,
Réponse à l'Enciclique du 8 Dec. Dopo aver detto che «in tutta Europa e
singolarmente nella Francia, culla di Voltaire e dei grandi uomini del l789, la
barbarie del linguaggio e l'accecamento dello spirito che ha potuto dettare
pagine somiglianti a quelle degli atti papali, avevano colpito gli spiriti» si
slancia colla fantasia nell'infinito e gravemente
esclama:
«Si dichiara alla umana
ragione una guerra senza tregua né pace. Dunque risvegliati, o ragione, raggio
divino caduto dal cielo, fuoco sacro che il Prometeo della favola voleva rapire
agli Dei e spandi torrenti di luce sui tuoi nemici costernati»! Al leggere
questa lirica noi ci domandammo se costui facesse la satira alla ragione
cantando di lei, né ci cadde pure in mente di aver che fare con un filosofo
razionalista.
La conclusione è che
egli vede usurpazioni pontificali da ogni parte, vede Gregorio VII risuscitato
tal quale ce lo hanno descritto gli storici razionalisti ed increduli, vede
tutti i troni nella polvere, tutti i re tratti a servire da sgabello al
Pontefice e freme e, senza avvedersene, contraddice sé stesso. «Unanimi, egli
scrive, i pubblicisti democratici si pronunciarono schiettissimamente
contro i principii esposti dalla Santa Sede; sono indegnati della arroganza di
una autorità straniera che pretende guidare la società moderna in tutti i popoli
del mondo» (pag. 8).
E con questo intende
accennare come i giornali francesi combattessero l'Enciclica, dimenticandosi che
era naturale che a scrittori di certi libelli e di certi articoli dispiacesse
quell'Enciclica che condannava i loro errori, come pure dimenticando che i
giornali giudaici e volteriani della nuova Italia avrebbero fatto eco nei più
bassi modi a chi le dicesse contro. maggiori villanie. E tutti d'accordo
gridarono veramente contro gli atti Pontifici che condannavano, dicevano essi,
la civiltà, il progresso e la libertà. Se non che con questo anzi
fecero un gran servigio alla Chiesa, mostrando apertamente che il progresso e la
libertà da loro amati e voluti sono tutt'altro che il progresso nel bene e
quella vera libertà qua Christus nos liberavit, quella vera libertà che,
al dire d'un pagano medesimo, consiste nel non servire ad alcuna turpitudine
(41).
Vogliono correre una
via tutta avversa alla Chiesa, vogliono rovesciare il Cattolicismo, vogliono,
come diceva il Monti nostro, appunto dei grandi uomini del l789, «ir co' ciacchi
in tresca» e però dicono che il Papa Pio IX colla sua Enciclica avversa la
civiltà. Ora è dunque la civiltà di costoro che ha preso a dare alla società il
bel complesso delle dottrine razionalistiche, atee, o panteistiche,
l'indifferentismo, il socialismo, il comunismo, la tirannia, la schiavitù della
Chiesa, il concubinato legale, la immoralità, il cesarismo? Oh sì, è vero; Roma
ed i Papi sono contrari a questa civiltà scellerata, a questo progresso iniquo,
e tutti i veri cristiani, sempre combatteranno contro di questa libertà, mai non
faranno tregua con lei; sì, è vero, Pio IX ha fulminato questa civiltà, questo
progresso, questa libertà; la sua Enciclica mira ad avvisare principi e popoli
che solo coi principii del vero cattolicismo eviteranno l'abisso sull'orlo del
quale furono già miseramente travolti da errori che oscurarono ogni retto
principio, che fecero traviare da ogni dritto sentiero, da errori insomma che
portarono una nuova barbarie ad insediarsi fra noi. Questa sua Enciclica inoltre
mira a mostrare i sofismi e le dottrine onde i nemici di Cristo sperano
rovesciare altari e troni, mira a porre in guardia le genti coltro certi
scellerati che si coprono di mille maschere e che predicando carità ed umiltà si
servono della finzione melata per porgere il veleno. Ora a costoro l'Enciclica
di Pio IX, e il sig. Cayla lo sa quanto noi, doveva certamente dispiacere,
poiché è naturale che al ladro spiacciano le leggi, all’ipocrita la schiettezza,
a Giuda la fedeltà.
Ora, spiacendo a
costoro, non poteva piacere poi a quel governo che, se crediamo alle parole del
Cayla «anch'esso come i democratici invoca i grandi principii del l789» (42)e
quindi uscì la proibizione ai Vescovi di pubblicare quella Enciclica contro la
quale era data amplissima facoltà di bestemmiare ai libellisti, ai giornalisti,
ed ai Cayla.
Ma questa
protestation énergique come la chiama il nostro libellista, non bastava a
sconfiggere il Papato, ad opporsi efficacemente alle sognate voglie
d'usurpazione della Santa Sede, quindi il Cayla, non sappiamo se a nome suo o a
nome d'altri, propone un espediente che promette infallibile. Egli
liberale, comincia col dire francamente: «Sventura allo Stato che
ammetterà la Chiesa libera (pag. 19). È venuto il momento di imitare
l’Inghilterra, l'Olanda, l'Alemagna, la Svezia gli Stati uniti d'America; è
venuto il momento di sbarazzarsi dalla servitù religiosa del Medio Evo, di
liberare il potere civile e di togliersi per sempre dal giogo del dispotismo
della teocrazia. Se la riforma che si vuole fare togliesse al Papa soltanto il
potere temporale sarebbe incompiuta e non avrebbe lunga durata» (pag.
42).
Dopo queste righe ci
pare necessario avvertire come il libro sia stampato in Parigi nel 1865 dove due
Vescovi, l'uno dei quali senatore, furono citati come rei d'abuso per
avere pubblicato l'Enciclica. Ora nelle parole ricordate sta un'onta gravissima
al governo che così ripetutamente ha protestato di voler proteggere il Santo
Padre ed alla Francia intera così devota al Cattolicismo ed alla Santa Sede. Il
Voltaire vituperando la maestosa e sublime figura di Giovanna D'Arco non fece
maggior sacrilegio c non insultò con maggiore impudenza alla fede ed all'onore
della sua patria. Ma almeno il Cayla è schietto, e a chi conosce la storia
moderna fa travedere qualche consiglio rovinoso che forse occultamente sta
maturando.
Or bene,
coll'incatenare la Chiesa che cosa avrebbe guadagnato la Francia, che cosa
guadagna l'Italia? Altri principi e re possentissimi tentarono e compirono
alcuna volta la fatale impresa, ma che ne avvenne?
Dicevano e credevano i
nostri padri di quel medio evo che così ingiustamente è vituperato perché così
poco è conosciuto o compreso, che «officio di legittimo re è governare con
giustizia ed equità e difendere con tutte le forze la Santa Chiesa; perocchè,
soggiungevano, mentre i re ed i principi ricusano assoggettarsi a Dio e
custodire i suoi precetti, spesso finiscono col perdere la vigoria della loro
possanza e la podestà stessa... ed il popolo soggetto ad un Re contrario a Dio
insorge spesso contro il suo principe e lo circonda di insidie e lo tormenta
suscitando mille calamità. E guai a colui che persegue od impedisce i ministri
di Dio, conciossiachè leggasi di molli Re ed Imperatori che per codesto delitto
vennero a perire miseramente ed improvvisamente. Dio disse dei suoi ministri:
Chi tocca voi, tocca la pupilla del mio occhio»
(43).
«Cristo, esclamava il
generoso martire S. Tomaso Becket, ha fondato la Chiesa e le procurò col proprio
Sangue la libertà... Guai quindi a coloro che fanno leggi inique e che
sanciscono ingiustizie per opprimere giuridicamente e per recare violenza alla
causa degli umili del popolo di Dio, per fare loro preda le Chiese e le vedove,
e per disperdere i beni degli ecclesiastici e degli altri... E chi mai dubiterà
che i sacerdoti di Cristo siano maestri e padri dei Re, dei Principi, di tutti i
fedeli? Si fa conoscere adunque colpito da lacrimevole insania colui che essendo
discepolo cercasse sottoporsi il maestro, essendo figlio cercasse assoggettarsi
il padre e sottometterlo ad inique obbligazioni» (44). E questo scriveva ad
Enrico II re d'Inghilterra, al quale coraggiosamente ripeteva: «Ricordatevi, o
re, che voi siete non preside ma figlio della Chiesa... e vi tocca ubbidire, vi
tocca nelle cose ecclesiastiche seguire i pastori, non precederli» (45). E il
francese Stefano di Tournai al vedere la oppressione della Chiesa gridava
spaventato: «Che cosa può mai restare di inviolato e sicuro se una mano
sacrilega impunemente frange le colonne della Chiesa»? (46). A misura che i
governi si discostano dalla Chiesa, e secondo il moderno parlare, se ne rendono
indipendenti, decadono di loro floridezza morale ed intellettuale, si avvicinano
allo sfasciamento e perdono quella forza che viene dalle rette e sicure dottrine
religiose, sempre ed ovunque produttrici e raffermatrici delle sagge dottrine
politiche. Lo dimostrò in poche parole uno dei più vigorosi ingegni politici
della Europa moderna: «Scemandosi la fede, egli scrive, va scemando in eguale
proporzione la verità sulla terra e la società che si allontana da Dio vede
abbuiarsi di fitte tenebre ogni suo orizzonte. Ond'è che la religione fu mai
sempre considerata in ogni tempo e da tutti gli uomini qual base indispensabile
d'ogni umano consorzio... Quegli possiede la verità politica che conosce le
leggi cui sono sottoposti i governi... La Chiesa ha sola il diritto di affermare
o di negare, e fuori di Lei non v'è diritto d'affermare ciò che ella nega, o di
negare ciò che ella afferma. Quando la società, avendo obliate le sue dottrinali
decisioni, chiese alla stampa, alla tribuna, ai giornalisti ed alle assemblee:
Che è la verità, che è l'errore? l'errore e la verità andarono confuse nelle
intelligenze; la società entrò nel regno delle ombre, ricadde sotto il dominio
delle finzioni. Sentendo da una parte in sé stessa l’imperiosa necessità di
sottomettersi alla verità e di togliersi all'errore, e dall'altra
l'impossibilità di accertare o l'errore o la verità, dessa ha combinato un
catalogo di verità convenzionali e arbitrarie e un catalogo di errori pretesi;
poi disse, io adorerò i primi e condannerò i secondi, ignorando nel suo
prodigioso accecamento che adorando gli uni e condannando gli altri, nulla
condanna e nulla adora; o che se adora e condanna alcuna cosa, non è
che sé stessa» (47). Con queste parole dell’illustre Donoso Cortes concorda
la esperienza della Storia. Domandiamone i popoli ed essi ci sapranno dire
quanto importi la soggezione dello Stato alla Chiesa e la indipendenza di
questa. Confrontiamo il regno di S. Luigi IX di Francia con quelli di Filippo il
Bello c di Luigi XIV che pure si porta come modello di grandezza; confrontiamo
il regno di S. Edoardo d'Inghilterra con quello di Arrigo VIII e di Elisabetta.
Che se vogliamo esempi moderni e freschi, confrontiamo la Roma di Pio IX con
quella di Mazzini, confrontiamo il regno di Sardegna con quello d'Italia, e
tremende verità ci sentiremo ripetute, verità dalle quali male sapremmo
schermirci col dirle «degne di Medio Evo».
I popoli non trovarono
mai un tiranno fra i santi, molti ne trovarono fra coloro che disdegnavano il
giogo della autorità ecclesiastica; non trovarono mai un oppressore, un
carnefice tra i principi religiosi e veramente devoti alla Chiesa; innumerevoli
ne trovarono fra gli eretici, gli scismatici, i framassoni. Noi domandiamo alla
Germania quali furono i suoi tempi più infelici? Furono quelli di Arrigo IV, di
Federigo Barbarossa, di Arrigo VI, di Federigo II, che vollero assoggettare la
Chiesa; noi dimandiamo all'Inghilterra, quali furono i più tristi suoi tempi?
Quelli del regno d'un Guglielmo il Rosso, d'un Arrigo II che vollero porre la
mano nel Santuario. E, giacché si citano le nazioni moderne, giacché si esorta
dal Cayla ad imitare l'Inghilterra, noi domandiamo alla Polonia, chi la dibranò,
chi la spense, chi la trasse in rovina e la tradì? Gli iniqui legislatori che le
tolsero il vigore della vita cattolica, che ne incatenarono la Chiesa, che ne
calpestarono la fede; la trassero in rovina e la tradirono gli eretici e gli
scismatici, i filosofi volteriani ed i potenti settari che attizzarono i
rivolgimenti e poi abbandonarono al macello i
sollevati.
Quanto all'Inghilterra,
questa infelice nazione provò ai tempi di Arrigo VIII, di Elisabetta, di
Edoardo, di Carlo I, di Giacomo II, gli effetti dell'essersi sottratta alla
ubbidienza della Chiesa Romana, e il maggiore fu, secondo il protestante
Cobbet, di aversi «un principe peggior che Nerone» nel capo stesso della
Riforma.
X. Ma, dice il Cayla,
col Papa lo stato è schiavo per metà, il sovrano è sovrano solo per metà. - A
sconfiggere questo stolto parlare basta un breve passo del già citato
protestante: «Contro all’intervento del Papa nell'autorità del re
o dello stato, il pretesto tanto falso quanto vergognoso che si adoperava e che
ancora si adopera è questo: che egli divide il governo col re al quale
appartiene l'intera supremazia su tutto quanto risguardo l'interno del suo
reame. Questa dottrina, spinta un po' oltre escluderebbe lo stesso Gesù Cristo e
farebbe del re un oggetto di adorazione» (48). Che più? lo stesso Proudhon, il
nemico giurato della Religione e della Monarchia, vide dove conducessero le
teoriche moderne, e non seppe tenersi dal trarne le ultime conseguenze con
quella sua inesorabile logica che non si arresta giammai dinanzi a nessun
precipizio. Egli scrive: «Allorquando i Principi percossero la Chiesa col loro
guanto di ferro, credettero averne maggior pro che del loro diritto e della loro
spada. La dignità reale, sorgendo contro il Papa, cominciò invece da allora
ad avvicinarsi alla sua perdita. Lo scisma esisteva da più secoli fra il
trono e l'altare a gran danno dell'uno e dell’altro... Umiliata così la Chiesa,
il principio di autorità era colpito nella sua sorgente, il potere non
era che un'ombra, ed ogni cittadino poteva chiedere al governo: Chi sei tu
perché io ti abbia ad ubbidire? Il Socialismo non tralasciò di mostrare questa
conseguenza e quando, in presenza della monarchia colla mano stesa sopra una
carta che negava il Vangelo, osò dirsi anarchista, negatore d'ogni autorità, non
fece che citare le conseguenze d'un ragionamento che si sviluppava da migliaia
d'anni sotto l'azione rivoluzionaria di governi e di re»
(49).
Negata difatti ai
diritti dello stato quella sanzione religiosa che li santifica e li rende
inviolabili, di quali ragioni potranno dessi farsi forti per costringere
giuridicamente i popoli? Non è quindi a stupirsi se i nemici del Cattolicismo
sono per lo più nemici della Monarchia e quasi sempre rivoluzionari per
convinzione; se fossero altrimenti darebbero nell'assurdo, ed il medesimo
protestante Guizot allorché piange sui pericoli minacciosi della società Europea
è tratto a forza a trovarne la causa nella dimenticanza dei principii morali del
Cattolicismo. Tolti questi bisogna per forza venire alla selvaggia conclusione
del Proudhon: «i re sono tiranni, la proprietà è un furto». Domandiamone
conferma ai fatti, chiediamone alla storia; dalla rivoluzione francese in poi,
quanti avvenimenti ce lo proveranno! Proudhon si meravigliava di trovare una
questione teologica in fondo d'ogni questione politica, ma non aveva ragione di
meravigliarsi, chè ogni politica ritrae della teologia, cioè delle credenze d'un
popolo, e appunto per questo, siccome effetto della idolatria (sì bene chiamata
servitus da s. Paolo) si fu il Cesarismo, cioè la tirannia assoluta di un
solo e prima era stata la oligarchia ed il disordine nella tirannide dei patrizi
e nelle stemperate pretensioni dei tribuni del popolo; così effetto del
razionalismo si è la democrazia sfrenata ed il socialismo. Anche oggi tra le
nazioni idolatre troviamo adorati i re, ed essi vediamo tirannescamente usare
dei popoli, ed anche oggi dove più alligna il razionalismo e dove la Chiesa è
oppressa, vediamo turpezze e disordini da non credersi. La china è troppo
sdrucciolevole; posti i principii bisogna venire alle conseguenze, ed è
impossibile fermarsi a metà; l'errore religioso è nocevole alle anime non solo,
ma anche ai corpi sociali e, come confessa lo stesso democratico Luigi Blanc,
furono le opere di Luigi XIV «per svincolare la monarchia assoluta dalla più
rispettata delle censure» quelle che affrettarono la rovina della monarchia
francese «perocchè strappando al Papa i suoi diritti colle pretensioni del
potere civile, faceva loro subire un cambiamento di luogo e li traslocava per
piantarli prima nei parlamenti, poscia nella moltitudine» (50). E a questo
trascinava la logica, imperocché il religioso «non poteva essere per vero dire
l'unico aspetto della rivoluzione mentre insegnando ai popoli a mettere in
disamina l'autorità Papale, li sospingeva irresistibilmente a fare altrettanto
coi re» (51). Di fatto, come ben notò l'illustre Arcivescovo di Colonia Clemente
Augusto de Droste Vischering «da parte loro i Demagoghi invocano a gran voce la
guerra tra la Chiesa e lo stato per arrivare allo scopo stesso al quale mirano i
razionalisti; ma i loro sforzi sono d'un altro genere. Dapprima si avvicinano
strisciando al trono dei principi e la loro parola adulatrice persuade a quelli
che per conservare la loro potenza è necessario abbassare e rendere schiava la
Chiesa... ma appena coll'aiuto del potere politico hanno rovesciato l'ostacolo
della Chiesa si gettano contro lo stato e la loro vittoria è rapida e sicura.
... Cercano quanto è loro possibile restringere i diritti della Chiesa come se
la Chiesa fosse di sua natura nemica allo stato e fosse necessario estirparne la
potenza» (52).
Or vegga il Cayla dove
condurrebbe la sua proposta; se si prendesse sul serio, dal governo francese
dovrebbe muoverglisi querela come a reo di perturbazione dello Stato e di alto
tradimento, conciossiachè la sua proposta sia una smentita solenne ed un'onta
gravissima alla sua patria ed al sovrano che la governa. Ma noi ci chiamiamo
pentiti di aver discorso sì a lungo contro una dottrina che si mostra falsa per
se stessa; imperciocchè, come osserva acutamente il Conte d'Horrer «far entrare
la Chiesa nello Stato sarebbe lo stesso che voler contenere il tutto in una sua
parte e voler rinchiudere l'Oceano in uno stagno». Sennonché il libellista non
si spaventa dell'assurdità delle sue dottrine smentite dalla storia, dalla
ragione, dalla sana politica; e grida non potersi vincere le usurpazioni della
Chiesa se non dichiarando Papa il Re, e conchiude: - «Cesare dirige i destini
del paese, CHE CESARE SIA DUNQUE PONTEFICE. È lo scisma, risponderanno gli
oltramontani ed i Gesuiti, è il rovesciamento della Religione, della Morale...
POCO C'IMPORTA; noi desideriamo, noi cerchiamo la tranquillità per tutti i
cittadini, la pace di tutte le coscienze» (pagina
21).
Ebbene, invece che la
pace per tutti i cittadini, colla Chiesa schiava avrete la discordia civile,
avrete mille sette e mille partiti che sorgeranno da ogni parte, avrete mille
cause di dissidi e di inimicizie, avrete un lento malore che trascinerà in
rovina lo stato; invece che la pace delle coscienze avrete il turbamento, avrete
la irrequietezza, la ansietà, avrete il dolore dei buoni, la avversione e la
disapprovazione degli onesti, e, volendo troppo in alto sublimare il soglio,
farete sì che cada nel fango. Ci si cita poi per ultimo dallo sciagurato
scrittore la Russia come modello di stato che riunisce nel suo capo il re ed il
Papa, e questo si fa quando sono ancor calde le ceneri dei Polacchi, quando si
hanno ancor molli gli occhi di pianto al ricordare le violenze contro il
Cattolicismo, quando i Cattolici e tutti gli odiatori della apostasia hanno
ancora sulle labbra un grido di esecrazione contro l'apostata Siemanzko,
carnefice di Macrina e del suo proprio fratello.
Non è dunque la libertà
quella che vogliono codesti impostori, è la distruzione del Cristianesimo, è la
oppressione della Chiesa; la libertà è per loro soltanto una parola, usata a
velare la malizia, come predisse di loro l'Apostolo. Oh è pur vero quello che
ebbe a notare S. Girolamo, che: «ogni eretico ed ogni difensore di falsa
credenza è sempre di volto impudente», è ben vero che quelli di tal risma «nulla
sapendo, parlano di cose che non conoscono» (53).
L'Enciclica dell'8 Dic.
fu dunque giustificata e difesa ed illustrata dalle ire medesime dei nemici del
Cattolicismo, dai modi sleali ai quali ricorsero, dalle risoluzioni disperate
che andarono suggerendo. L'Enciclica scoprì il loro volto, denudò le loro
ipocrisie, costrinse a cessare i loro infingimenti, mostrò al mondo intero la
loro debolezza, la loro malvagità, trionfò insomma compiutamente e, lasciandoli
gridare e cospirare e tradire, prepara la via al non lontano trionfo. Gli uomini
credettero che quel vecchio al quale avevano tolto quasi tutto il regno, al
quale si apparecchiavano a togliere anche il resto, quel vecchio che vedevano
abbandonato quasi da tutti, quel vecchio del quale cantavano la morte ed al
quale prepararono da venti volte la bara, consolandosi di sua lunga vita
coll’annunciarlo defunto almeno tre volte l'anno, credettero dico, che quel
vecchio, spossato e franto dal lungo resistere, non durerebbe più a lungo e
cederebbe e tacerebbe, e già riposavano tranquilli sulle loro grandi
conquiste che tenevano per assicurate e per solidamente piantate. Ma in Pio
IX ricordavano solo il Sovrano di quelle province che coi tradimenti e colle
violenze avevano potuto usurpare, non ricordavano il Vicario di Colui chè è
Rex Regnum et Dominus Dominantium, di Colui che nulla ama maggiormente
della libertà della sua Chiesa (54). A forza di bestemmiare che il Papato era di
istituzione umana, se ne resero persuasi ed operarono senza tener conto di
Cristo Gesù, del quale il Papa non è che il Vicegerente, ed ecco che di
improvviso li sfolgora un atto sublime di autorità soprannaturale, una condanna
chiara ed aperta di tutti quei stolti sistemi che essi avevano fabbricato per
farsene armi contro la verità. La potenza più che umana delle parole di Pio IX
li sbalordisce, li disperde, li atterrisce e, nella confusione della sconfitta,
essi non sanno trovare altro rimedio fuorché quello di dichiararsi ribelli
interamente ad una autorità alla quale si fingevano devoti. Essi omai conoscono
la inutilità dei loro sforzi, veggono che la guerra è omai finita, che potranno
perseguitare, spogliare, incatenare il Re di Roma, ma che pur non ostante il
solco del fulmine scagliato dal Capo della vera religione non si cancellerà
giammai dalle loro fronti, anzi sempre più si farà profondo fino a distruggerli.
Nella loro disperazione dopo aver desiderato che Pio IX sia l'ultimo Papa, come
i loro padri gloriosi del 1789 avevano desiderato lo fosse Pio VI,
gridano senza sapere che si dicano: "Noi rispondiamo alla Enciclica con queste
parole tanto terribili per il papato temporale, quanto quelle che l'angelo
scrisse sui muri del palazzo del re di Babilonia: CESARE PONTEFICE» (55), e non
si accorgono che sull'opera delle loro mani e sui loro vani propositi l'angelo
di Dio ha già scritto a caratteri di fuoco: «LA GIUSTIZIA È IL FONDAMENTO DEI
TRONI; IL DESIDERIO DEI PECCATORI PERIRÀ .
XI. Noi intanto ci
sentiamo nel cuore ben altri sentimenti verso il Papato, che ci sono ravvivati
ancor più dall'Enciclica dell'8 Dicembre. Noi ammiriamo questo potere che
meravigliosamente è guidato a conoscere i tempi e le opportunità, che resiste
sempre e non cede mai, che senza smuoversi d'un punto disperde i suoi nemici, e
delle loro credute vittorie si forma un vero trionfo. Noi vediamo i protestanti
tocchi e ammirati da cotanta fortezza l'avvicinarsi al centro della Cattolica
unità; vediamo i cattolici che, senza allontanarsi dalla loro mistica Madre,
anzi per difenderla, s'erano posti in qualche pericolo seguendo sentieri pieni
di insidie, ritornare alla di Lei voce sulla regia strada, ritemprati a nuovo
ardore; vediamo sfasciarsi e perire gli ultimi resti del gallicanismo, l'ultima
trasformazione del giansenismo, vediamo stringersi vieppiù le schiere dei
cattolici e volgersi forti e concordi contro l'avversario loro additato. Passano
i persecutori, passano i prepotenti, passano i settari e o li accoglie l'esilio,
o gli consuma uno scoglio deserto, o gli distrugge la mannaia che fabbricarono;
la Chiesa sta, sola, sicura, eterna e grida a tutti: Chi non si rivolge a me,
perisce; chi meco non raccoglie, disperde.
Solo, nel conforto
della sicura speranza, ci attrista lo spettacolo lacrimevole di alquanti nostri
fratelli che o sono travolti dal turbine impetuoso delle dottrine anticristiane,
o sono ingannati dalle arti nemiche, o, per un lamentevole scoramento, si
tengono lontani dalla battaglia e temono dovere entrare anch'essi tra i
combattenti.
E qui parliamo ai
nostri Veneti singolarmente e loro diciamo:
Noi non saremo
certamente di quelli i quali vogliano negare o credere meno cattivo lo stato
presente delle conquiste degli empi, anzi le affermiamo, le vediamo, le
comprendiamo forse più in là di tanti altri, conciossiachè vi siano misteri di
iniquità dei quali pochi per avventura sospettano; ma noi stimiamo che invece di
cadere di coraggio, bisogni affrontare con sicurezza la menzogna, la iniquità,
l'errore. Diamo uno sguardo ai malvagi. Cessarono essi mai, dalla loro maledetta
impresa? Vi furono tempi di fede viva e vigorosa, tempi che perseguitavano
coll’odio, collo sprezzo, colla infamia quegli apostati e quei figli di Satana;
eppure essi non ristettero, e attraverso a pericoli innumerabili, e bene spesso
a gravi patimenti, proseguirono baldi e costanti. Sarà dunque che i figli di
Dio, i fedeli di Cristo sappiano meno resistere che non i loro nemici? Si dovrà
dunque dire che la virtù ha difensori più fiaccai che non ne abbia il
vizio?
Se non che questo
avviene singolarmente perché i buoni sono divisi, sperperati, impediti; divisi
da una falsa, perniciosa, iniqua larva di prudenza che è vera viltà, sperperati,
impediti da paure, da ostacoli, da arti nemiche, spesso arcane, terribili sempre
solo a chi se ne mostra pauroso; impediti dalla poca esperienza della lotta,
perché fin qui tratti in una specie di sopore, prodotto dal non vedere scoperti
i nemici che avevano tutta la cura di non dare neppure un sospetto di sé.
Destandosi appena, i buoni restano storditi dal guasto che veggono operato,
danno in esclamazioni di orrore; ma del porsi ad operare per il bene, a risanare
le piaghe ancor capaci di guarigione, è nulla. Sperano che Dio porrà egli
rimedio a tanti orrori, che Dio solleverà la gioventù dal lezzo in cui s'è
gittata, che Dio muterà la mente ed il cuore degli uomini caduti nella ruina
della indifferenza e della incredulità, Stolti! ripetiamolo pure, stolti! e voi
intanto lasciate il male pigliar forza, lasciate le piaghe incancrenire,
lasciate infracidarsi le parti offese. Non temete che Dio anzi, irritato da
tanta dappocaggine, da tanta ignavia, vi castighi, vi flagelli maggiormente, ed
abbandoni voi stessi al vortice che seco trascina e rapisce i vostri
fratelli?
- Ma come fare a
superare tanti ostacoli! noi non ne abbiamo la
forza.
O fratelli nella pugna,
o consorti nostri nel campo di Cristo, diteci; per chi combattete? Quel Dio che
sa spezzare le armi dei guerrieri, che sa far cenere dei suoi nemici, che tiene
in mano i cuori dei grandi e dei piccoli, dei nobili e dei popoli, non vi sarà
di aiuto? Combattenti per lui, sotto i suoi vessilli, vi verrà meno la potenza
del suo braccio? E poi quali sono questi ostacoli così paurosi? osate rimirarli,
e li vedrete dissolversi in fumo, l'unico ostacolo vero siete voi colla vostra
timidezza, colla vostra irresolutezza, coi vostri timori. I malvagi tremano dei
buoni forse più che questi non paventino di loro, ed è perciò che mille arti e
mille violenze adoperano per tenerli disgiunti, per farli diffidenti tra loro;
mille calunnie inventano per mettere divisione tra i capi ed i soldati, tra i
coraggiosi ed i prudenti, mille maschere si mettono per indurre confusione nelle
loro file. Or bene, come togliere questi ostacoli? col togliere la causa, e la
causa è pur sempre la nessuna energia, il nessun coraggio, la nessuna unione dei
buoni.
Che se spaventano un
poco (tanto siamo in basso venuti, che spaventino le ombre alle quali diamo
corpo noi) le dicerie, le beffe, le avversioni; non siamo noi degni in, vero di
riso e di beffe, mentre abbiamo giurata fedeltà a Cristo e siamo stati sacrati
suoi difensori, suoi soldati nella Cresima? Un riso beffardo ci tratterrà dal
fare il nostro dovere, e non pensiamo che, lasciando aperto il campo al nemico,
egli si beffa assai più di noi, ci deride, ci insulta? Il riso beffardo dei
malvagi contro dei buoni che resistono non passa il labbro, è riso mentito, è
uno sforzo per nascondere che il cuore palpita di paura, che si trema, che si
paventa. Vi deridono perché vi temono, vi deridono perché non sanno come celare
altrimenti la loro confusione. Ma ben sincero e vero si è il riso onde sono
perseguitati, se non sempre in faccia, sempre però dietro le spalle, i timidi ed
i prudenti.
L'arma dunque la più
possente, diremmo quasi la essenziale, per i buoni cattolici è la unione. Unione
di cuori nella preghiera che impetri da Dio la costanza, la fermezza; il
coraggio, la carità, ma unione pure di mezzi, unione di armonia, unione stretta
di opere e di fatti nel combattere.
Uniti, stretti,
imperterriti combattiamo le battaglie del Signore; alla piena soverchiante della
iniquità opponiamo i nostri petti; sforziamoci con tutti gli argomenti della
fede e della carità a confermare i buoni; ad illuminare, ad istruire, a
stenebrare i cuori e le menti degli ingannati, a preservare l'innocenza, a
mettere in guardia coloro che educano le speranze della religione e della
patria, a smascherare gli ipocriti che della pietà si fanno manto a nascondere
il veleno, a gridar contro i malvagi, gli increduli, i nemici di Dio e della
Chiesa; ai libri infetti opponiamone di buoni, alle massime sconce ed
irreligiose opponiamo le sante massime del Cattolicismo, alle insidie degli
eretici, alle arti degli infelici che si gittarono ad osteggiare la Chiesa,
opponiamo la vigilanza, la vera prudenza, la saldezza della fede; ai mali
discorsi, al disprezzo, all'odio per le sacre cose, per le persone a Dio
consacrate, opponiamo la stima, l'amore, il rispetto; alle calunnie, alle
invenzioni, agli scandali opponiamo la verità, la storia, gli esempi
edificanti.
Oh!, che più si bada? È
tempo di risvegliarsi, è tempo dì operare da veri Cattolici; il nostro dormire
ha dato troppe forze al nemico e troppe ne ha tolto a noi, sorgiamo da quel
torpore che ci fu tanto fatale, e mentre l'inferno adopera tutto il suo potere,
non vogliamo stare inerti. Si combatte per noi, per i nostri figli, per la
società, per la Chiesa ed in questa guerra ogni Cattolico è soldato. Combattiamo
colla parola, coll'esempio, cogli scritti, colla fermezza, colla preghiera.
Diamo uno sguardo a quei generosi che ci precedettero nella nobile pugna, essi
non ristettero né per paura di tormenti, né per paura di morte, e noi, noi figli
di santi e di martiri, noi eredi dei crociati ci ritrarremo dal combattimento
pel timore delle beffe, delle persecuzioni, delle ingiurie? Qualunque cosa ci
avvenga, i vincitori saremo noi; finora ebbe molti vantaggi la miscredenza,
perché furono paurosi i credenti, mostriamoci franchi e fermi ed il vantaggio
l'avremo noi. Fedeli alla Chiesa, ferventi Cattolici saremo terribili e dopo le
fatiche della guerra troveremo il riposo, la gioia, la felicità del trionfo; è
luogo di pugna la terra, luogo di trionfo è il
cielo.
Il nostro capitano, il
Pontefice ce ne ha dato sempre l'esempio; ed alla vista di questo venerando
vecchio che da quindici anni combatte imperterrito ed instancabile, ogni petto
più freddo deve accendersi a santo fervore. Egli ultimamente nel giorno sacro
alla Immacolata Concezione di Colei che stritolò il capo al serpente infernale,
ci diede una regola sicura, ci indicò la vera sorgente dei mali della società,
ci spiegò i viluppi onde i suoi nemici nascondono le perniciose dottrine; le
loro ire, il loro furore hanno mostrato chiaramente che il grande Pontefice li
aveva feriti nel cuore; seguiamo adunque la via che ci è aperta, chè lo spirito
di Dio ci conduce.
Intanto tutti i buoni
hanno accolto quest'atto del sommo Pio con gioia grandissima, anzi con vivissima
riconoscenza e col giubilo nel cuore approvano tutte e singole le condanne; e
noi, terminando, ci uniamo a loro e siamo felici di portarci in spirito ai piedi
del venerando Pontefice che sarà posto accanto ai Leoni, ai Gregorii, agli
Innocenzi, e qui vi testimoniargli il nostro amore, la nostra sommissione ed
ubbidienza e dirgli: Pietro ci istruisci; anatema a colui che vuol porre altro
fondamento alla Chiesa di Dio, che tutta è là dov'è Pietro e il suo successore.
Vicario di quel Gesù che fu Egli pure dello seduttore, nemico di civiltà,
avverso alle idee della società, osteggiatore della libertà, vero imitatore di
Colui che perdonò ai suoi crocifissori, copia di Quello che fu tradito da Giuda,
condannato da Pilato, gridato a morte dai scribi e dai farisei, insultato dalla
plebe e dai veri impostori, bestemmiato dai predicatori di civiltà, in nome
delle idee moderne di allora, la tua mano si alzi a benedirci e noi ci
sentiremo la forza di seguirti al Calvario, perché siamo certi che quella è la
via che conduce al Taborre.
_________________
(1) Il Razionalismo in Italia c. VI. nel Conservatore di Bologna, anno II, Tomo I, pag. 204.
(2) Taparelli, Dir. Nat. Diss IV. cap. IV. art. 2. N. 871; tom. 1. p. 639. Rom. 1855.
(3)
Machiavelli, La mente d'un uomo di Stato. Lib. 1. cap. XII. §.
4.
(4) Taparelli, Dir. nat. N. 872, tomo I. p. 643-644.
(5) Istruzioni segrete della Carboneria, 1819, vedi Cretineau - Joly, L'Église rom., liv. III. tomo II. pag. 82. Paris 1859.
(6) Becker,
presso 1'Anonim.: Il mondo nuovo e il mondo vecchio, cap. XXII, pag.
327.
(7) Sedulius, Carmen. Paschale, lib. I. V. 227.
(8) Ferrari,
Feder. Rep. cap.
XII.
(9) Balan, Studii sul Papato, cap. XIV. pag. 180. Padova 1861.
(10) G. Giusti, Lett. 123. Epistol., tomo I. pag. 382. Firenze 1859.
(11) N. Tommaseo nell'Istitutore, 18 genn. 1862.
(12) Ferrari, Federaz. Repubb., pag. 19.
(13) Ranieri, Storia d'Italia. Notizia N. VII, pag. XIX.
(14) Ranieri, Op. cit. pag. XX.
(15) Weishaupt presso il Barruel, Hist. du Jacobinisme, t. IV e presso l'anonimo aut. del Mondo Vecchio, ecc. cap. II, pag. 13.
(16) Ferrari.
Federazione Repubbl. del popoli. C. XII.
(17) Id. ib. cap. IV.
(18) Millon presso De la Hodde. Rist. dea
soc. secr. lib. 1, cap. XII, pag. 101.
(19) Thiers. De la Propriété, liv. 1 chap. XI pag. 82.
(20) Id. Ib. Livre 1 chap. XIV pag. 119.
(21) Weishaupt. Loc. cit.
(22) Millon presso De la Hodde, Iib; I, cap. XII, p. 101.
(23) Le National, presso De la Hodde loc. cit., p. 109.
(24) Egregiamente trattò del Matrimonio l'illustre conte Avogadro della Motta, onore del Piemonte e del laicato italiano, uomo grande e profondo filosofo, rapito recentemente da morte all'amore di tutti i Cattolici che ammirarono in lui uno dei più gloriosi campioni della giustizia e della fede.
(25) Piccolo tigre, presso Crétineau Joly. L'Egl. Rom. Liv. III.
(26) Dall'Ongaro. Biografia di Pio IX, pag. 2 e 4.
(27) Titolo d'una poesia di Gabriele Rossetti.
(28) Niccolini. Arnaldo da Brescia, pag. 108, prima edizione.
(29) Istruzioni secrete dell'Alta Vendita nell'anno 1819.
(30)
Ibid.
(31)
Ibid.
(32)
Ibid.
(33) È stato scritto un libellaccio: Il fantasma del Locatelli al Vaticano o le visioni di Pio IX. Con più verità poteva stamparsi: I fantasmi degli assassinati, al Palazzo Carignano o le visioni degli onorevoli e delle eccellenze. Il conte de Limingues, Pimodan, gli Zuavi di Castelfidardo, le vittime del Venanzi e del Fausti, gli assassinati di Ancona, gli avvelenati degli spedali pontifici e tanti altri avrebbero potuto farvi la loro comparsa. Se ne domandi al Processo Fausti-Venanzi, al Curletti, ai vari processi ed agli Zuavi Belgi; essi potranno suggerire tutti gli apparitori a molti dei visionari.
(34) Istruzioni secrete del 20 Ottobre 1821.
(35) Lettera di Piccolo Tigre agli agenti superiori della Vendita Piemontese, 18 gennaio 1822. - Vedi poi tutti questi documenti radunati nel libro III della importantissima opera di Crétineau-Joly: L'Église Romaine en face de la Révolution.
(36) Montanelli, Memorie, cap. XVIII, pag. 141.
(37) Id. Ib., cap. XVIII, pag. 147, 48,
(38) Verati, Della tirannide sacerdotale, cap. X, pag. 482, 83. Firenze 1861.
(39) Sauclières. Gli intrighi, le menzogne, etc. p. 75. Venezia, 1863.
(40) In uno scritto
intitolato. Le Diable, sa
grandeur, etc.
(41) Liber est is aestimandus, qui nulli turpitudini servit. Cicero. ad Her.
(42). Le gouvernement impérial, qui
invoque, comme nous démocrates, le grands principes de 1789. p.
12.
(43) Legitimi regis officium est populum in justitia et requitate gubernare et Ecclesiam sanctam totis viribus defendere... Porro ipsi Reges et Principes... dum Deo subesse et ejus praecepta custodire renuunt, dominationis suae vim et potestatem plerumque solent amittere... itaque..... Regi Deo contrario populus sibi subiectus multoties incipit adversus eum insurgere et variis ac multiplicibus insidiis illum appetere et multis adversitatibus fatigare... Mortem autem aut scandalum rex nullatenus praesulibus ecclesiae inferre debet. Nam pro hoc facinore comperimus multos Reges et Imperatores miserabiliter et inopinabiliter ex hac vita migrasse. Dehis nempe, idest de Praesulibus et Sanctis hominibus Dominus dicit: «Qui vos tangit, quasi qui tangit pupillam oculi mei. - Hugo Floriacensis: De Regia Potestate, ecc.» Cap. VII, passim in Balutii, Miscellanea, Lib. IV. pag. 30, etc.
(44) S. Thomae Cantuariensis Lib. I epist. 17 et 40 in Chr. Lupi, Opera T. X. p. 73 et 86.
(45) Id. Lib. I ep. 65,
pag. 98.
(46) Qud cautum aut securum esse poterit, si columnas Ecclesiae sacrilega manus impune confringit? Stephani Tornacensis, Epist. 2 in Bibl. Max. Patrum, T. XXV pag. 5.
(47) Donoso
Cortes: Saggio sul Cattolicismo, Liberalismo, ecc. L. I c. 1 e 3. pag. 129,
Traduz. De
Castro.
(48) Cobbet, Hist. de la
Réforme. Lett. III, N, 88, pag. 41.
(49) Proudhon, Confess, d'un
Révolutionn.
(50) Blanc, Origine e causa della rivoluzione francese. Lib. II, cap. 6. Tom. I, pag. 265 e seg.
(51) Blanc, Origine ec. Lib. I, cap. 2, pag. 28
(52) De la paix entre l'Églisc et les
Etats. Ch. 2, pag. 22.
(53) Omnis haereticus et falsum dogma defendens, impudenti vultu est... Haeretici... quum nihil sciant, loquuntur plura quam norunt. S. Hieronymus, Comment. in Ecclesiasten; Operum T. II pag. 758 et 754. Parisiis, 1699.
(54) Nihil magis diligit Deus in hoc mundo, quam libertatem Ecclesiae suae. S. Anselmus, Lib. IV, ep. IX.
(55) Cayla, pag.
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