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I CLERICALI, I LIBERALI E L'ENCICLICA DEL 8-12-1864
Pensieri del Prof. Monsignor Pietro Balan (1841-1893)

Documento storico "Con permissione dell'Autorità Ecclesiastica " edito solo a Padova nel 1865 - Tipografia del Seminario.

Col nome Liberali l'autore non intende già i fautori delle oneste e lecite libertà, ma sì quei settarii che sotto la maschera di libertà avversano la Chiesa e lo Stato. Era forse inutile avvisare di questo, poiché comparisce chiaro da tutto lo scritto, ma i maligni sono tanti e sanno così bene storcere il senso alle parole, che per ogni ragione abbiamo creduto bene spiegarci fin dal principio.
P. Balan

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PREFAZIONE

 

Questi Pensieri, che mi furono suggeriti dalle condizioni dei tempi e dalla pietà che mi prese del traviamento di tanti che seguono ciecamente il parere e la dottrina di coloro che sanno scaltramente ingannarli, vennero in parte da me pubblicati in alcuni periodici italiani o stranieri e, per concorrere, quanto è da me, alla difesa della verità, ritoccati ed ampliati ora li torno dare alla luce.

Pongo poi il nome mio in fronte al libretto, non perché creda che possa aggiungere autorità allo scritto, ma perché quelli d'un certo partito da lungo tempo vanno predicando che noi Cattolici «parliamo di martirio, ma ci nascondiamo». Veramente moltissimi di noi non mai si nascosero e, se talora tacciono il loro nome, si è perché conoscono troppo bene la tolleranza dei loro avversari. Altre volte la ebbi a provare anch'io, ma di questo non curo; vedremo se adesso quelli che predicano tolleranza vorranno adoperarla anch'essi.

In ogni modo, io faccio il mio dovere e, se posso essere utile a qualche mio fratello, non guardo a quel che mi costi. Due illustri italiani, cari ad ogni Cattolico, poco prima che la morte li togliesse alla terra, mi scrissero parole che non dimenticherò mai.

Il Marchese Antonio Brignole-Sale di Genova mi scriveva: «Bisogna combattere e non mai stancarsi e combattere con dottrina e solerzia, poiché non possiamo dissimularci che queste doti non mancano nel campo dei nostri avversari, e la prima è tanto più da temersi, quantochè per lo più sorretta da falsi sofismi di cui essi fanno uso e che i propugnatori del vero debbono diligentemente studiarsi a discernere, combattere ed annientare».

Il Conte Emiliano Avogadro della Motta, mi scriveva: «Ah sì; più che mai adesso ci bisogna avviticchiarci fermamente alla Cattedra di Pietro, umili nell'ossequio, devoti nell'obbedienza, alacri nelle opere, perché più che mai potente e carezzevole soffia il vento delle false dottrine seduttrici».

In queste brevi ma preziose righe sta il mio convincimento e la mia regola, e spero che, Dio aiutandomi, non verrò mai meno al mio proposito.

 

Padova; 6 Marzo 1865.

PROF. P. BALAN.

 

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I CLERICALI, I LIBERALI E L'ENCICLICA DELL'8 DICEMBRE 1864

 

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I. «La lotta contro il Cattolicismo è cominciata col mondo...» La pugna è tra due soli avversari, il Cattolicismo e l'Eresia, l'uno sempre eguale a se stesso, l'altra perpetuamente mutabile e mutata. Che sono Gnostici, Manichei, Pauliciani, Albigesi, Valdesi, Ussiti, Wicleffiti, Protestanti, Filosofi, Sansimonisti, Fourieristi, Mormoni, Socialisti, se non negatori del Cattolicismo? Che sono Swedemborgiani, Rongisti, Massoni, che sono quei settatori di mille e mille altre dottrine, se non nemici del Cattolicismo? Chi non vede dunque i due campi nemici? Egli è vano gridare: «noi protestanti, noi deisti.. noi massoni, noi teofilantropi, noi filosofi…» quando si tratta di combattere bisogna pur dire noi razionalisti o noi cattolici; tutti gli altri nomi sono inutili o bugiardi.

Ed è gravissima e profonda la ragione di questa pugna perpetua tra i seguitatori dell'una dottrina e quelli dell'altra; come disse uno dei nostri grandi dottori, S. Paolo: oportet et haereses esse. - Come si conoscerebbe chiaramente la verità se non avesse contro la menzogna? come si conoscerebbe la forza immensa, la vita inestinguibile di questa verità, se dinanzi a lei l'errore non si frangesse e non si mutasse di vista e di nome per potere combatterla di nuovo? Il flutto che perpetuamente batte iroso questa saldissima colonna, è necessario a provarne la solidità».

Queste parole scrissi io nel Marzo del 1864 (1), ed ora le ripeto nuovamente a proposito d'una lotta che ferve più aspra che mai e che mostra volersi accendere sempre più, perché forse l'empietà conosce che vinta questa volta, avrà tronchi i nervi e stremate le forze così da non potere per lungo tempo ritentare la prova, e perciò s'argomenta con ogni suo sforzo a combattere una guerra che essa spera di esterminio e di morte al Cattolicismo.

Noi nepoti o figli di coloro che videro disertato il santuario, dispersi i fedeli, scannati i sacerdoti, perseguitata la religione e portata in trionfo la miscredenza, noi in una parola nepoti e figli di coloro che udirono proclamati i nuovi principii e le grandi conquiste, noi abbiamo veduto l'empietà dopo breve trionfo disfarsi quasi da sé sola, e dopo una passeggera tirannia ritornare nell’ombra e tremante nascondersi in seno alle società segrete per ritemprare le armi sfilate e spuntate, per tessere gli inganni sotto nuove maschere, per addestrarsi a tradimenti con ipocrisie non a tutti palesi. Ebbene! noi dunque sappiamo non meravigliarci del riaccendersi del combattimento, sappiamo guardare in faccia il nemico c conoscerne le insidie, sappiamo non tremare di lui, ma compiangere il suo accecamento e ridere degli inutili suoi sforzi.

Sono peraltro spaventevoli le storie di questa lotta nel secolo XIX; il cuore non ci regge a ricordarle interamente, ma, giacché tanti non vogliono vedere quello che è pure così chiaro, ci terremo paghi a scorrere rapidamente su questo funesto imperversare dell'errore.

La guerra contro la Chiesa Cattolica fu fatta dapprima colla scure e col carnefice; ma dal sangue dei martiri sorgevano sempre tanto numerosi i fedeli che alla fine vinsero e ritornò la pace. Allora accortisi i nemici che le aperte violenze poco valevano, vennero nel divisamento di adoperare arti occulte e inganni scaltrissimi.

II. Non so se i nemici dei Papi abbiano mai osservato sinceramene ai nostri modi di combattere, alle armi da noi adoperate ed al fine propostoci. Non so se abbiano mai cominciato ad istituire un confronto tra quelli che essi chiamano clericali ed i liberali alla moda, il che certissimo sarebbe stato di gran giovamento a chi avesse voluto conoscere da qual parte stesse la ragione. Sappiamo bene che questi non sono tempi da esercitare la critica o la logica, robacce tutte due da medio evo, ma un po' di senso comune da applicarsi ai fatti, un po' di osservazione... via si possono comportare anche in tempi di progresso.

E noi questa volta vogliamo un po' esercitare alcun briciolo di carità del prossimo, di quella carità che pur i nostri avversari ci rimproverano di non avere, e prendendo per mano il lettore di qualsiasi capacità e di qualsiasi credenza politica e religiosa, introdurlo senza sforzi penosi nell'esame di alcune coserelle utili a fare un pochino di giustizia, a giudicare sinceramente tra noi ed i nostri avversari. Esamineremo dunque senza ire ma senza timidità, senza offese ma senza velo: 1. Quale sia lo scopo dei clericali e quale quello dei liberali moderni; 2. Quali siano i mezzi adoperati. Questo ci guiderà a poter giudicare della importanza, della opportunità dell'Enciclica dell'8 Dicembre 1864, e dei modi onde dovevano accoglierla e la accolsero i nemici, e degli effetti che essa doveva produrre e che in fatti produsse. Non domandiamo che animo sincero, amore della verità e franca confessione quando si è conosciuto da qual parte sia la ragione.

Qual è dunque lo scopo dei clericali? Conservare intatto il tesoro della fede ereditato dai loro padri, conservare intatta quella unità religiosa che formò la grandezza e la gloria dell'Europa, perché: «Il legame religioso è il più gagliardo che stringer possa gli uomini» (2), perché: «Quelli principi e quelle repubbliche le quali si vogliono mantenere incorrotte, hanno sopra ogni altra cosa a mantenere incorrotte le cerimonie della religione e tenerle sempre nella loro venerazione. Perché nessun maggior indizio si puote avere della rovina di una provincia che vedere dispregiato il culto divino» (3): e perché finalmente: «È chiaro che una società la quale si priva del legame religioso non solo manca per sé di un vincolo fortissimo, ma viene ad averi o contro di sé. Giacché le varie credenze religiose formando varie società particolari fermissime, mentre alla società totale manca il più saldo dei vincoli, debbono tendere perpetuamente a separarsi. Il quale gravissimo danno viene preveduto da tutti i politici quando scrivono con sincerità, qualunque siano le preoccupazioni della loro opinione… Dunque ogni società per conservarsi deve tendere all’unità religiosa» (4).

E lo scopo dei liberali massoni? «lo scopo nostro finale, il dicono essi, è quello di Voltaire e della rivoluzione francese, il compiuto annientamento del Cattolicismo, anzi della idea cristiana che, restata ritta sulle ruine di Roma, ne sarebbe più tardi la perpetuazione» (5). Essi vogliono far guerra al Cristo, come scrisse il deputato Giuseppe Ferrari, guerra alla Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana, regnante in Roma, dominante per tutta l'Italia», e quindi la rivoluzione italiana, secondo lo stesso Ferrari, rappresenta l'Italia insorta contro l'Europa cristiana, contro il sistema della cristianità. Il Becker predica alto che «la religione bisogna sia tolta anche dall'anima umana», e aggiunge che il suo partito (del socialismo tedesco) dimanda che l'uomo sia obbligato a non avere credenza d'alcuna sorte (6). l liberali vorrebbero schiantato dal cuore e dall'animo quel misterioso vincolo che tutti stringe in fratellevole unione, vorrebbero tolta quella mistica indefinibile dolcezza che nasce dal conoscersi fratelli in Cristo, membri d’uno stesso capo, uniti nelle speranze, nei combattimenti, nei trionfi; vorrebbero rotta quella soavissima catena che abbracciati nella dilezione ci sostiene nel nostro pellegrinaggio, ci afforza, ci incoraggia, ci allenisce le sofferenze, ci infiora l'esilio; e quindi predicano il privato giudizio, incielano la ragione, e sono di quelli dei quali scrisse un grande poeta cristiano che:

 

... Adsueti varias producere sectas

Religiosa sibi sculpunt simulacra suumque

Factorem fugiunt, et, quae fecere, verentur (7).

 

«Adori, essi dicono, adori ciascuno in casa propria i suoi idoli, i suoi penati» (8).

I clericali perché vogliono intatta la religione dei loro padri, ne vogliono onorato e libero e grande il Capo, il Sovrano Pontefice.

«Noi siamo cattolici, scriveva nel 1861 un giovane allora studente, noi siamo cattolici e non possiamo starci dal ribattere quanto è in noi, gli assalti che i nemici muovono contro il Papato, perché il Papato è il fondamento ed il sostegno della verità». - Noi siamo italiani e non possiamo a meno «di difendere il Papato, perché il Papato è la sola grandezza vivente d'Italia» (9), e questo grido di fede gli era venuto sul labbro al vedere tutti i veri cattolici commuoversi e scendere alla difesa del Papato, perché tutti dirigevano il loro sapere, le loro preghiere, le loro forze allo scopo di difendere e mantenere illeso il centro della verità, l'unica vera gloria italiana.

E i loro avversari che scopo hanno?

Di rovesciare e Papi e Papato, di frangere la colonna della verità, di abbattere il vessillo della fede. Chiamano i Papi ed i preti col nome di cancri d'Italia, di vampiri, di scirri del corpo sociale, di arpie, fino di demoni, di vicarii di Satana, ed altri orrori che non reggo a notare, e invocano con Giuseppe Giusti che giacché non si possono annientare «al meno vi sia chi lavori di coltello e d'accetta per estirparli» (10); e ripetono alteramente che essi combattono nel prete-re il re insieme ed il prete, e che vogliono conculcata la fede della quale egli è in terra supremo ministro» (11). Quindi si bandisce guerra al Pontefice, si raccomanda agli italiani di non «dimenticare un sol momento che il loro capitale nemico è il Papa, che il Papa è il nemico eterno del genere umano» (12).

I clericali perché vogliono libero il Pontefice, lo vogliono re. Lo scrissero, lo ripeterono in mille luoghi, in mille modi, in mille occasioni; lo proclamarono i Vescovi riuniti a Roma, lo dissero alto i generosi laici che poco fa ossequiarono il Santo Pontefice Pio IX, lo protestarono col sangue e colla vita i martiri caduti in difesa del Papa-re, lo provarono i dotti col confutare e annullare le calunnie e le bestemmie degli scrittori nemici; lo approvarono, lo predicarono, lo vollero infine i cattolici di tutto il mondo che fecero arrivare a Roma milioni e milioni per sostenere il loro padre spogliato.

E i liberali invece che scopo hanno in riguardo al Papa-re?

Essi lo vogliono detronizzato, mendico, esule, confinato a Gerusalemme o ad Avignone, essi lo insultano, lo maledicono, lo calunniano, essi lo dicono «cancro della società, nemico della civiltà», essi vogliono Roma, quella Roma che, come scrive in una energumena prefazione il Ranieri «è occupata da un incubo putrido e schifoso nella sua forma più laida, nella forma teocratica (13), mentre il grande avvenimento dell'unità e della indipendenza d'Italia, il grande fatto del secolo XIX, è l'abolizione del potere temporale del Papa» (14).

Or bene, chi dei due fin qui combatte per uno scopo migliore? Non è bisogno essere cattolici per vederlo: i protestanti stessi lo vedono; ma dopo esaminati gli altri scopi lo vedranno anche i medesimi razionalisti, gli atei medesimi.

III. Or vediamo, come la pensino i clericali ed i liberali nelle altre questioni e quali siano i fini, come ora si dicono, sociali e degli uni e degli altri.

I clericali, certi che la Provvidenza di Dio entra nelle vicende politiche non sperano gran fatto nella perfettibilità assoluta del genere umano, nel progresso indefinito ed in altrettali rettoricherie galliche o germaniche che suonano largo e grosso senza nulla significare. I clericali credono conferma fede nel trionfo della Chiesa Cattolica, e nelle traversie della vita e nei terribili perigli della lotta si confortano pensando che tutto è diretto ed ordinato alla vittoria immancabile della loro religione; loro scopo quindi non è quello di mutare dalle radici l'antico ordine di cose e stansi contenti a quell'ordine civile sotto del quale vivono, né altro cercano coi loro sforzi che tenere sulla retta via la società, che non trasmodi o travii, e raffermarne le fondamenta e le credenze che la sostengono e reggono e guidano. Voi quindi li troverete sempre in armonia con sé stessi e, benché amanti più d'un modo di reggimento che di un altro, non mai congiurare contro di alcuno, sempre predicare e diffondere il rispetto regolato e legittimo all'autorità.

Per contrario a che tendono i liberali? Ecco le loro teorie, poste in pratica ogni volta che i gonzi o i malvagi li lasciano fare: «L'eguaglianza e la libertà, scriveva il Weishaupt, il maestro del Mazzini e dei suoi, l'eguaglianza e la libertà sono diritti essenziali. La prima lesione... alla libertà fu portata dalle società politiche ossia dai governi; il solo appoggio dei governi sono la religione e le leggi civili... dunque a ristabilir l'uomo nei suoi primitivi diritti di libertà bisogna cominciare dal distruggere religione e società civile» (15). Quindi il grido di un deputato al parlamento italiano, dello scrittore del corso sugli scrittori politici italiani, del professore dell'Accademia di Milano, di Giuseppe Ferrari: «Guerra ai re; il clero per sé stesso non ha forza ed è nullo; egli è tutto col favore dei principi e dei re... Chi lavora per i re... lavora alla schiavitù dell'Italia (16). Le rivoluzioni non sono che guerre contro il Cristo e contro Cesare» (17). E prima il francese Millon gridava da invasato: «La face della libertà ha svelato il riparo del delitto. Non più re» (18).

Ora chi sono i nemici dei re? sono i clericali od i liberali? né le dottrine sono sterili parole; abbiamo dei falli che ci provano che si viene all'opera ogni qual volta si possa. E poi i liberali d’un certo stampo, legittimi eredi dei pagani persecutori e dei Giansenisti, gittano disdegnosamente in faccia ai clericali il nome di nemici ai re. Or, furono clericali Pianori, Orsini, Rudio, Gomez, Agesilao Milano? sono clericali Greco, Imperatori ed i suoi compagni? E quelli che a loro inneggiarono in mille metri, e quelli che scrissero panegirici dei Bandiera e dei loro compagni, e Targhini e Montanari e mille altri, e quei bravi e prodi che comprarono i poeti perché lodassero i tirannicidi, e le Lady ammiratrici e le Damine cascanti che deposero corone di fiori sulle tombe di quei grandi, di quegli eroi, furono paste di sacristia e di curie? E il deputato Gallenga che riceveva un pugnale per uccidere Carlo Alberto, e il Mazzini che glielo mandava, e il Melegari che glielo portava, furono clericali? E Atto Vannucci che scrisse i Martiri della Libertà dove hanno sì glorioso splendore le virtù di tanti regicidi, o nemici dei re, e il deputato Ricciardi che diede un tributo di ammirazione agli eroi della patria, nel suo Martirologio Italiano, e il Montazio che nella Biografia del Mazzini. si fece bello del suo coraggio tutt'altro che regalista, furono o sono clericali?

Ma il disdegno mi conduce troppo fuori di argomento, e mi fa quasi dimenticare quella freddezza di esposizione che pur volea continuare in questa trattazione. Or bene dunque ci basti dire al lettore: Chiunque tu sia, recati una mano al petto, e sinceramente giudica chi abbia per scopo la guerra ai re e il rovesciamento dei troni.

I clericali difendono e vogliono sicuro il diritto di proprietà e, benché partano da principii un po' più sovrannaturali, giungono a quella conclusione di Adolfo Thiers: «La proprietà è un diritto sacro, come la libertà di andare e di venire» (19). E senza la proprietà mobile non vi sarebbe neppure società, senza la proprietà immobile non vi sarebbe civiltà» (20).

 I liberali invece vengono in campo a combatterla: «la prima lesione all’eguaglianza fu fatta dalla proprietà... dunque bisogna finire coll'abolizione di ogni proprietà (21). Il tempo è giunto di dover noi intendercela coi vili ignavi che si ingrassano delle nostre fatiche, e dividere egualmente la metà dei beni che ci rubarono…» (22) Il giornale Le National predicava l'eguaglianza dei beni per tutti, l'eguaglianza delle fortune e delle condizioni (23). A questi principii fanno eco tutti i rivoluzionari dei tempi moderni, tutti coloro che sperano impinguarsi dei beni dei ricchi e del clero.

I clericali mirano allo scopo di tenere nell'ordine e nella dipendenza la famiglia, ben sapendo che disciolta la famiglia e rotta la soggezione dei figli ai genitori, delle mogli ai mariti, dei giovani ai vecchi, la società si sfascia, né più regge concorde, ed i vizi tutti si uniscono a rompere i vincoli più sacri del sangue e della natura.

I liberali giurano odio anche all’autorità famigliare, all'autorità paterna, all’autorità maritale, e col loro ripetere e ricantare che l'uomo è libero, che non è neppure di Dio, come bestemmiava Giuseppe Nicolini, vanno sognando e unioni e falansterii e utopie che riescono ad un panegirico perpetuo dello stato selvaggio, il quale, come diceva un deputato al Parlamento, è il solo degno dell'uomo, come è il solo degno del leone il più nobile animale, il re delle foreste.

I clericali mirano a conservare nella sua alla dignità il matrimonio difendendo la indissolubilità e la santità del vincolo coniugale, nobilitato e sublimato all'altezza di Sacramento, ben sapendo come tutta la società si fondi su questo, e come dalla sua indissolubilità rampolli l'educazione dei figli, e dalla sua santità la pubblica moralità (24).

E i liberali gridano sacrilegamente e protervamente contro a queste necessarie condizioni e, dipingendo il nodo indissolubile come un importabile giogo e il sacramento come una ubbia di sacristia, una superstizione, o alla men peggio, un di più inutile, vogliono condurlo ad essere un mero contratto civile, un concubinato legale o alcuna cosa di peggio, come lo definì lo stesso Proudhon. E difendono questo loro scandalo in un nugolo di libri sulla questione del matrimonio civile, sulla opportunità di proclamarlo e su altri argomenti da far venire i rossori a Maometto ed a Teodoro Beza.

Potremmo allungare questo confronto ancora per molto tempo; ma non vogliamo già stancare il lettore, il quale crediamo ne abbia di avanzo per giudicare. Finiremo la prima parte col cercare di stringere in un sol centro tutti gli scopi particolari dei clericali e liberali.

I clericali, che con Mosè credono l'uomo creato da Dio e avente per fine di servire, di amare, di godere Dio, cercano rattenere i loro prossimi sulla via che conduce al cielo, combattono le disordinate passioni e le loro conseguenze; loro scopo finale è di indirizzare l'uomo a quel fine sublime per cui fu creato, e gli insegnano per conseguenza di posporre la terra al cielo, i beni materiali agli spirituali.

I liberali, che credono coll'illustre De-Filippi e coll'eruditissimo Ferrari, l'uomo nato da' funghi, dalle scimmie o da mostri giganteschi per opera di mamma natura, e lo credono piantato qui sulla terra per darsi bel tempo e far dolorare i suoi simili, cercano infiggerlo sempre più nel fango anzi nel brago di ogni piacere, lodandone e difendendone i vizi, e loro scopo finale è di fargli dimenticare il cielo per la terra «quel cielo al quale si è già pensato troppo» come scriveva il professore filosofo di Pavia, Ausonio Franchi; di fargli dimenticare il suo vero fine, di fargli credere d'esser creato per capriccio, e di non avere una seconda vita, conducendolo per conseguenza a divenir bruto per essere indipendente.

Or ridomandiamo noi, chi ha scopo migliore? I clericali od i liberali? Noi non abbiamo in nulla cosa ingrandite o guastate le dottrine degli uni e degli altri, e d'altronde fatti ed avvenimenti quotidiani mostrano come non abbiamo fatto che compendiare dottrine predicate e messe in pratica ogni dì. ­ Il lettore giudichi intanto dello scopo, che noi ci prepariamo a dargli materia di giudicare anche dei mezzi.

IV. Or veniamo ai modi di battaglia ed ai mezzi usati dai liberali e dai clericali. Qui non possiamo ad ogni passo raffrontare i due avversari, perché i liberali usano di mezzi ben più numerosi e vari che non i clericali, quindi prima parleremo di quelli, poi di questi; toccando, se non largamente di tutti, almeno di alcuni mezzi, per tal modo da dare una idea raffermata dai fatti per chi voglia giudicare le due parti, e un modo di difesa e di istruzione a tanti incauti che lasciansi allacciare così facilmente e irretire nelle insidie e nelle trame dei malvagi.

Nel 1822 un ebreo caposetta, conosciuto sotto il nome di piccolo tigre, scriveva gongolando: «Presto avremo a Malta una stamperia a nostra disposizione, potremo dunque impunemente, a colpo sicuro, sotto bandiera inglese, spandere dall'un capo all'altro d'Italia i libri, i libelli, ecc. che la vendita giudicherà opportuno mettere in circolazione» (25).

Possiamo noi, rammentandoci quante calamità e quanto guasto ci richiamino in mente queste parole, possiamo noi, noi Cattolici ed Italiani, conservarci freddi, pacati, placidi espositori di questi mezzi e non prorompere di quando in quando nelle parole di dolore che a disfogo del cuore ci vogliono pur uscire di bocca?

E chi non geme al vedere il guasto orribile che menarono le sconcezze e le empietà uscite prima da Malta, poi da Capolago, da Torino, da Genova, da Firenze, da Milano, da quasi ogni città d'Italia? Si va lamentando continuamente che non vi è più buona fede, non più pudore, non più saviezza, non più generosità. Qual meraviglia! I liberali hanno già libertà di stampa da un pezzo, e ne usano ai loro fini; le sette hanno già diffuso in ogni parte i libri che la vendita ha giudicato opportuno mettere in circolazione. Si dia uno sguardo dalle bibliotechine eleganti delle dame ai poveri ripostigli dei giovinetti del popolo, e vi si troveranno di bei maestri di pudore e di virginale verecondia. Le più luride infamie degli scritti d'una dama adultera fino nel nome, come la chiamava Pietro Giordani, mascheratasi sotto nome di Giorgio Sand, le più turpi e sconce novelle che Eugenio Sue, condotto dal suo abbrutito e selvaggio ingegno, trasse dai postriboli e dai covi dei comunisti, le sconcissime scipitezze di Paolo de Kok, le fine ribalderie del Balzac, le disperanti frenesie del Goethe, le infamie morali del Marmontel, le pungenti empietà del Voltaire; qualche strana lambiccatura dell'Hugo, ecco i libri prediletti delle signorine e dei giovani, se pure al più non si aggiunga la Isabella Orsini del Guerrazzi, e alcuni dei libri moderni che farebbero arrossare al titolo solo qualsisia più rotto e scapestrato giovinastro. E gli animi gentili delle giovanette possono uscire intatti da quel brago pestilenziale? Ce lo dicono e ce lo provano le statistiche dei suicidi e delle turpezze. E può essere altramente? L'animo dei giovani si informa facilissimamente alla lettura degli autori e si piega con incredibile prestezza alla parte in che lo traggono i libri, che a chi non ha esperienza di mondo sono tutta la vita. E quale animo giovanile, colla natura corrotta che piega al male star saldo potrà leggendo panegirici e lodi grandissime dei vizi? quale potrà tenere altra credenza vedendosi sempre messo innanzi il duello come costume generoso e cavalleresco, il suicidio come fortezza e magnanimità, il tradimento come finezza di furberia, il pugnale, il veleno, come alto ardito da ammirarsi qual prodezza, la scostumatezza, la turpitudine come gentilezza e dolcezza d'animo ben fatto? quale potrà amare la virtù vedendosela dipinta a colori più neri che i rozzi pittori dei medii tempi non dipinsero il demonio? quale distinguere più il male dal bene sentendosi per letture tristissime tenzonare nel capo il dubbio se una cosa sia vizio o virtù? Quale potrà rispettare, amare la religione se a forza di sentirla combattere sotto il nome di fanatismo, di superstizione, l'ha tolta ad odiare? Oh! sì, cerchiamo santità e purezza d'affetti in chi ha imparato ad odiare il matrimonio come un legame insopportabile, una catena pesantissima, una crudeltà violentissima; cerchiamo innocenza in chi è già fatto maestro d'ogni arte di nequizia, cerchiamo religiosità in chi già nutre odio accesissimo contro i ministri di Dio stesso. Ora, date i Misteri di Parigi ad una santa e pura verginella, gli scorra, gli legga, e poi mi saprete dire se non si porrà ad odiare le leggi della società che le vengono sì bruttamente dipinte. Ed oggi mai siamo condotti a tanto stremo che è impossibile si possa andare più innanzi. E non bastano i romanzi ma si scrivono storie, biografie, poesie, allo stesso scopo. Si cercano infamare Chiesa e Cattolicismo col falsarne la storia. Leggete i libri di quei liberali e resterete ammirati della fronte di bronzo colla quale vi vengono innanzi a narrare storielle mille volte confutate. Per essi i Papi sono tiranni, la Chiesa avara, iniqui sanguinari i Vescovi ed i preti, stolti o empi i credenti; per essi la storia della Chiesa non è che un continuo delitto. Che importa a loro l'essere sbugiardati ogni dì? Oggi vi vengono innanzi con Alessandro III usurpatore di diritti non suoi, ingiusto scomunicatore del Barbarossa, domani vi diranno di Alessandro III traditore dei Lombardi. Se mostrate queste due asserzioni essere favole o calunnie, vi danno dell'ignorante in capo, vi portano due passi di protestanti; se non restate convinti, siete tronchi, asini, caparbi, e così la dimostrazione è bell'e compiuta. Ed hanno il coraggio di venir poi innanzi mesti e doloranti, deplorando la infamia dei clericali che «a difendere il temporale storcono i passi degli autori e guastano le storie». Or sono veritiere le storie di G. Lafarina, Gallenga, Montanelli, Gualterio, Farini, Brofferio, Ricciardi, De-Boni, Ferrari; Ranieri, di quei che si fecero panegiristi della nuova Italia, e di alquanti altri, che pur si danno tra loro da falsari, da bugiardi, da servi d'un partito, d'una setta, e sono tutti fiore di liberali? E Franco Mistrali, e De-Vecchi e Vannucci e molti dei compilatori della Galleria nazionale e tutti quei del Panteon della libertà... sono storici veracissimi? Chi li ha letti lo sa e può dire sicuramente che la povera musa della storia non è mai stata strapazzata e malmenata da alcuno più che da quei messeri.

Dopo le storie vengono le biografie e le poesie, altra bella merce messa in corso da quei scrittori che servono la setta. Nelle loro biografie si vuole infamare Pio IX, si dice che «il Papato è divenuto a mano a mano uno scheletro, una commedia sinistra popolata di ombre e di spettri palpabili, una smisurata ambizione senza alcun mezzo onesto e legittimo per raggiungere il fine, una società commerciale, che traffica gli avanzi della credulità umana per far danari e mantenersi in potere» (26) nelle loro poesie si prende in argomento Orgie levitiche e despotismo (27), in quelle si canta che

 

Il mondo

Ha un altro vero che non sta fra l'are,

Né un tempio vuol che gli nasconda il cielo (28).

 

E i malvagi, zelantissimi di propagare i loro errori, si uniscono in società e stampano a migliaia tali libri, che fanno arrivare in ogni città, in ogni paesello e spesso nelle campagne. E non solo li vendono a tenue prezzo, ma li donano alcuna volta, li danno a leggere a chi non li vuole, e con minacce o con moine li fanno leggere alle innocenti giovinette, li traforano nel clero, e tentano introdurli perfino nelle comunità religiose. E perché poi i giovani non abbiano troppo sconcio e troppa spesa a poter leggere questi libri, in molte città d'Italia con due soldi al giorno si possono prendere a prestito dai librai che li tengono per questo; e perché arrivino anche nelle piccole città e fino nei villaggi, vi hanno dei pagati che con una botteguccia ambulante vanno per i mercati e per le fiere.

Questo è il primo dei modi di battaglia dei liberali; tutti gli altri mezzi rispondono pur essi a capello ai fini iniqui, che essi si proposero.

V. E siccome quei sciagurati corrompitori ben si conoscono delle arti che furono sempre le più acconce a guastare la gioventù, così a quelle singolarmente si attengono, e quindi (per tacere dì certi misteri che svelare non si possono senza pericolo della innocenza e che chi non è rotto ad ogni nefandezza non sa descrivere) tolta in aiuto l'arte fotografica, espongono all'occhio semplice e puro della gioventù italiana oscenissime e turpissime scene, immagini sconcissime, atti infami e cose sì laide da fare arrossire ogni più spudorato. E queste infamie si veggono messe in pubblica vista, in luoghi frequentatissimi da sciagurati che o sono complici, o sono tanto in basso venuti da curare più un turpe guadagno che non le anime di tanti miseri giovanetti che in questo scoglio pericoloso rompono con somma facilità e divengono poi il flagello delle città e delle terre.

E tutto per trascinare nei covi delle società segrete i giovani.

«Bisogna andare alla gioventù, questa bisogna sedurre, questa noi dobbiamo trascinare sotto il vessillo delle Società Secrete» (29).

A questo fine è necessaria la ipocrisia, ed ecco un'altra arme che usano sempre.

«Lasciamo, diceva un settario ardente, lasciamo ridere della nostra infinta devozione, chè con questo passaporto possiamo cospirare a tutto agio e condurci a poco a poco al fine propostoci» (30). Così adoperava pure Voltaire che scriveva ai suoi amici: «Non ridete che io faccia le mie Pasque da fedele cristiano». E le stesse istruzioni secrete più volte citate, insegnano ai settarii: «Dovete aver aspetto di semplici come colombe, ma sarete prudenti come il serpe; i vostri padri, i vostri figli, fino le vostre mogli dovranno sempre ignorare il segreto nel vostro seno portato; e se volete, per più ingannare l'occhio inquisitoriale, andate a confessarvi… Andate alla gioventù. Guardatevi con quella dai motti empii ed osceni: maxima debetur puero reverentia. Ricordate sempre queste parole del poeta che vi serviranno di guardia contro le licenze, dalle quali bisogna starsi per amore della causa. Per far fruttare questa causa all’ombra d'ogni famiglia, per farvi dar luogo al focolare domestico, vi ci dovete presentare con tutte le apparenze di uomini gravi e morali... Con poca spesa voi vi formate una fama di buon cattolico. Questa fama farà luogo alle nostre dottrine nel seno del giovine clero e fino nei conventi» (31).

Dopo la ipocrisia, la calunnia. Ma a che enumerare, ad una ad una, le arti di quei che si fanno chiamare liberali e anticlericali? Ecco alcuni documenti che li faranno conoscere meglio di quello che potremmo far noi. Non sono forse nuovi a tutti, perché pubblicati in parte e dal Crétineau -Joly e da altri, ma non sono vecchi perché sono chiari e perciò utilissimi, e perché sono una spiegazione necessaria alla storia moderna.

«Poco vi è da guadagnare coi vecchi cardinali o coi prelati che si mostrano risoluti. Bisogna lasciare gli incorreggibili alla scuola del Consalvi, oppure nei nostri ripostigli metter mano alle armi di popolarità o di impopolarità che renderanno inutile o ridicolo il potere nelle loro mani. Una parola che si inventa con abilità e che con arte si fa correre in certe scelte famiglie oneste, perché di là scenda nei caffè, indi nelle strade, una parola può alcuna polta uccidere un uomo. Se un prelato arriva da Roma per esercitare alcun uffizio pubblico nelle province, studiate tosto il suo carattere, le sue azioni passate, le sue qualità e singolarmente i suoi difetti. È un nemico dichiarato?... Inviluppatelo di tutti i lacci che potrete tendere sui suoi passi; formategli di quella fama che spaventa i fanciulli e le vecchie; dipingetelo crudele e sanguinario; raccontate alcuni tratti di crudeltà che facilmente restino in memoria del popolo. Quando poi i giornali stranieri raccoglieranno da noi questi racconti che (certo a rispetto di verità) abbelliranno, mostrate o piuttosto fate mostrare da qualche rispettabile imbecille questi fogli, dove sono registrati i nomi egli eccessi di quei personaggi».

«In Italia non mancheranno di queste penne venali, che sanno temprarsi nelle menzogne utili alla buona causa; non ne mancano neppure in Francia ed in Inghilterra. Schiacciate il nemico, qualunque sia, schiacciate il potente a furia di maldicenze e di calunnie» (32).

E di vero così hanno operato d'allora in poi; ne siano prove le ingiurie e le calunnie dapprima contro Consalvi, poi contro Antonelli, contro Pio VIII, Leone XII, Gregorio XVI, Pio IX; ne sia prova lo strepito per il fanciullo Mortara, per la faccenda Locatelli (33), per la ribellione di Perugia e per mille altre cose.

«Abbiate l'occhio sempre aperto su ciò che succede a Roma, spopolarizzate la pretaglia con ogni sorta di modi.... abbiate dei martiri, abbiate delle vittime, noi troveremo sempre chi saprà dare a ciò i colori necessari» (34).

Ma ciò non basta. Ecco altri precetti: «Nella impossibilità (così scriveva un ebreo all'Alta Vendita Piemontese il 18 gennaio 1822) nella quale si trovano i nostri fratelli ed amici di dire ancora il loro ultimo motto, è stato giudicato bene di propagare in ogni dove i lumi e di dar la spinta a tutto che aspira a cambiamenti. È perciò che noi non cessiamo di raccomandare a voi di affiliare a qualsiasi Congregazione misteriosa ogni uomo. L'Italia è coperta di confraternite religiose e di penitenti di vari colori; non temete di cacciare qualcuno dei nostri in mezzo a quelle greggi e (sic) guidate da una devozione stupida (sic); che costui studii diligentemente le persone di queste Confraternite, e vedrà che a poco a poco non mancherà la raccolta. Sotto il pretesto più futile, ma giammai politico o religioso, create voi stessi o meglio fate creare da altri delle associazioni che abbiano per oggetto il commercio, l'industria, la musica, le belle arti. Riunite in un luogo od, in un altro, anche nelle sacristie e nelle cappelle, le vostre tribù ancora ignoranti, mettetele sotto la veste d'un prete virtuoso, conosciuto, ma facile ad ingannarsi e credulo, infiltrate il veleno (sic) nei cuori scelti, infiltratelo a piccole dosi, come per accidente; poi pensandoci, voi stessi resterete attoniti del vostro successo. Diffidiamo singolarmente della esagerazione di zelo; un buon odio, ben freddo, ben calcolato, ben profondo, vale più che tutti i fuochi di artifizio» (35).

Né queste sono tutte le armi onde combattono i liberali: ben altre ne hanno e alcuna fiala più terribili; ma siccome ci basta accennare alle principali e più evidenti, così lasciamo di molte e discorriamo solo di quelle che bastano a farli giudicare.

VI. La corruzione, la ipocrisia e la calunnia furono dunque sempre le armi predilette dei liberali; noi lo abbiamo provato. A queste arti si aggiungono schiamazzi vergognosi, tradimenti, minacce, assassinii, e lo proviamo adesso.

Schiamazzi. - Le Suore del Sacro Cuore cercavano metter su convento a Pisa. Favoriva quella fondazione il Canonico Luigi della Fanteria, Vicario dell'Arcivescovo. Fanteria aveva già comprato il locale per le suore; né mancava altro alle monache che andarci a stare. In quel mezzo veniva a Pisa il conte Luigi Serristori, governatore. Qui lasciamo recitare il fatto ad un liberale di dieci carati, professore di Università, deputato al Parlamento italiano, ecc., a Giuseppe Montanelli. «Serristori, dice egli, fece certi i liberali pisani dell'imminente pericolo (!!! sic); vi fu chi credé da alcune parole, come scappategli di bocca, che invocasse una dimostrazione; e una trentina o poco più di liberali, la maggior parte di famiglie civili, fra i quali taluni che in seguito hanno primeggiato fra i più schizzinosi di questa specie di proteste, convennero sulla piazza del Duomo la sera del 21 febbraio e di là mossero a lapidare le vetrate del Canonico della Fanteria, schiamazzando contro ai gesuiti, alle gesuitesse (sic) e ai loro protettori. E la polizia, com'era prevedibile, non vide nulla, non inquietò nessuno dei lapidatori, e il governatore poté riferire al ministero che il malcontento popolare aveva fatta rumorosa esplosione» (36). Quante viltà, quai tradimenti, quale bassezza si fa vedere apertamente da questo solo atto!

Ma ecco un altro che può servirgli di appendice ad insegnare a chi è ancor bimbo in queste scienze. Il Montanelli pensò scrivere una protesta contro quelle povere Suore, e presentarla al ministero. Ma come farla per le firme? Attenti, o lettori, che di qui conoscerete bene come si ottengano e quanto valgano le proteste popolari e con quali mezzi i liberali uccellino alle sottoscrizioni: «Stavano, racconta il deputato stesso, in casa mia, alcuni fra i più intimi, ordinando la campagna per la conquista delle firme, ancora incerti d'onde cominceremmo gli attacchi ai nomi che contavano». Ed ecco Arconati che conduce il Prini a firmare… «Aiutato dai miei amici, raccolsi in due giorni 246 sottoscrittori fra professori e i più notevoli cittadini di Pisa. Certamente non tutti questi firmarono colla intenzione di far prova di coraggio civile (sic); vi erano quelli che non potevano dire di no a me; quelli che, avrebbero detto di no a me a quattr'occhi, ma non osavano dirmelo in presenza di testimoni che avevo l'accorgimento di condurre meco; quelli avvezzi ad andare dietro a certi altri, cui bastava vedere i loro cert'altri firmati per firmare alla cieca; quelli che non firmando avrebbero avuto paura di cadere in disgrazia del governatore; quelli che sapendomi famigliare con Cempini supponevano fossi d'accordo con lui e credevano fare cosa desiderata dal capo del ministero» (37).

Queste arti così basse e così spessamente usate, alcune volte non sortirono effetto ed allora si adoperarono altri mezzi. Lettere cieche o sottoscritte con nomi falsi, ora da un tale ora da un altro, circolarono e piovvero in casa agli onesti cittadini che vi si videro minacciati nella roba, nella vita, nell'onore, che vi trovarono ingiurie, offese, villanie e sconce indecenze, né le lettere cieche e le minacce pubbliche restarono sempre parole. C. Sodani ha scritto che per disfarsi dei clericali ogni mezzo è buono, ed i suoi consettarii misero in opera il suo avvertimento. Difatti Lisimaco Verati o Giuseppe Pellegrini (chè sotto i due nomi corre il libro) nella lurida operaccia: Della tirannide sacerdotale, ec. suggerisce mille modi l'uno più empio e più infame dell'altro a togliere al clero ogni libertà, ed esorta «i capi delle nazioni, qualsivoglia religione professino,che siano irremovibili, inflessibili nel solenne dogma (sic) di tenere infrenato il clero e strettamente suggetto alla podestà secolare, anche rispetto a quelle spirituali bisogne che possono influire nelle temporali... Lo Stato sia il vero unico Signore, la religione ministra» (38).

Niccolini, Giusti, Franchi ed altri di tale risma (come risulta dai loro scritti) eccitarono sempre a non rifuggire da alcun mezzo vituperoso ed infame per far trionfare i principii liberali. Dopo tali dottrine predicate e ripetute sui fogli, sui periodici, dappertutto, non fa meraviglia se vennero i fatti. Dei tradimenti venuti donde meno dovevano, anche da ambasciatori terrà conto la storia, ed i nostri figli forse non crederanno a quanto essa racconterà; degli assassinii politici e numerosi, anche dirà la storia donde vennero, sotto quali pretesti fossero consumati; noi ne tacciamo perché non potremmo dire che le cose a metà. Solo ricordiamo che tentativi di assassinii ne nascono ogni dì e tutti per il bel pretesto della libertà; ricordiamo che nel Parlamento sedette un regicida, e più di un italiano ha di fresco subito condanna per aver tentato di uccidere Napoleone III. Solo osserviamo che l'assassinio politico non si conobbe che dopo l'aurora di libertà e le gioie del liberalismo; che chi non si poté uccidere, si perseguitò, si infamò, si insidiò fino nella vita domestica, che molti onesti conoscono la loro rovina dalle persecuzioni sorde e traditrici dei liberali, e non per altro che perché non consentivano coi loro principii. Avremmo documenti molti a provare queste nostre asserzioni; ma a che dilungarci nel riportarli? Bastano i libri dei liberali per farli conoscere. Chi non inorridisce al vedere che un milione di teste si stima poco per conquistare la libertà? Chi non freme al leggere che il carro della rivoluzione passerà sui cadaveri di quelli che le si oppongono? E i bandi sanguinari (del Pinelli e di altri) omai di venuti proverbiali per ferocia inaudita, e le stragi di intere famiglie, e gli incendi di paesi e borgate non sono cose da far spaventare di orrore? A che dunque riportare documenti? Ma ciò non ostante nomineremo la raccoltina di lettere anonime e settarie conservateci in un documento del tomo I dei Rivolgimenti Italiani, nomineremo ancora le esortazioni del Verati, gli scritti del Mazzini, gli atti del processo Fausti-Venanzi, quei della Unione Italiana di Napoli, quei di Ancona, e finalmente nomineremo la storia dell'Italia contemporanea. Uno sguardo solo di passaggio dato a questa terra infelice anche colla guida dei suoi diari liberali, farà conoscere meglio di quello che abbiamo fatto noi i mezzi onde si servono i liberali.

Corruzione della gioventù con libri empi e stampe oscene, ipocrisia, calunnia, arti, tradimenti, minacce, assassinii.

Ed i clericali? In mezzo alle persecuzioni ed ai dolori, i clericali adoperarono sempre le stesse armi, armi di tempra ben più fina e di effetto ben più sicuro che quelle molteplici dei loro nemici. Una costanza invincibile, una rassegnazione a tutta prova e la fiducia in Dio e l'amore alla giustizia li fortificarono; essi ricorsero primieramente alla preghiera. I gemiti, le lagrime, i sospiri degli oppressi e degli addolorati penetrarono fino ai piedi del trono del Dio di misericordia, che forse per essi abbreviò la durata della prova. È vero, i Clericali non si tennero solo alla preghiera, ma operarono; e usarono di tutte le altre armi consentite dall'onestà, dalla rettitudine e dalla santità della causa che difendevano. Adoperarono la stampa e gittarono in faccia ai loro avversari le turpezze e le menzogne onde si cercava oscurare ed insozzare la purezza della fede e la virtù dei ministri dell'altare, ricacciarono in gola ai venali giornalisti le tante calunnie onde si cercava trascinare il popolo ad odiare i suoi veri amatori, i veri suoi protettori e soccorritori. Poi, quando il Pontefice spogliato di tutto fu quasi costretto a mendicare, generosamente lo aiutarono e con amore tutto filiale largheggiarono con lui dei propri beni e del proprio danaro e lo difesero tradito ed abbandonato, e morirono per lui e per la fede, quando figli snaturati dislealmente assalirono le sue terre per rapirgli fin l'ultima delle sue città. Ma i clericali usarono di queste armi perché era loro dovere, non perché credessero bastare a renderli vincitori. La loro fiducia fu sempre in Dio, in quel Dio che atterra i suoi nemici quando credonsi trionfanti, e che suscita i suoi fedeli quando sembra che debbano soccombere sotto la oppressione degli avversari. E perciò, aspettando il di della giustizia, sperarono sempre, confidarono sempre né mai si abbassarono a veruna viltà di artifizi o di scellerate arti, né ricorsero a violenze, ma patirono e soffersero, combattendo cogli scritti e colle preghiere.

Lunga e dolorosa è la storia delle persecuzioni che si adoperarono a vincerli, a disperderli, a farli almeno cader d'animo; ma le lagrime e le sofferenze dei giusti sono contate nel cielo e le benedizioni di Dio spesso per quelle scendono fino all'animo del peccatore e lo ammolliscono e lo piegano; e l'arme della preghiera derisa e sprezzata dai tristi spesso affretta il momento della vittoria.

VII. I nemici della Chiesa conoscevano queste armi dei Cattolici, e non volevano farle più tremende con una aperta persecuzione. La guerra, secondo le istruzioni dei capi settari, si doveva combattere colla ipocrisia, si doveva incatenare accarezzando, si doveva offendere la dignità con grande rispetto al nome. Si appigliarono dunque al partito di mostrarsi tutti ossequenti al Romano Pontefice, di chinarsi innanzi a lui, di mostrarsene i difensori e, sempre fingendo devozione, lo accusarono, lo derubarono, lo spogliarono. Dicendosegli figli devoti, lo tradirono; il Vicario di Cristo doveva essere venduto con un bacio non altrimenti che il suo Maestro Gesù.

Tutti gli scritti dei nemici della Chiesa erano ripieni di ipocrite proteste di filiale devozione, di amore al Papa, anzi ad udire coloro, dispogliavano la Santa Sede del suo dominio temporale. solo per farla più pura e più venerabile. Sono queste le parole della ipocrisia, sono la maschera che ricopre il volto; ora vediamo brevemente poche delle moltissime parole e pochissimi degli innumerevoli fatti veri ed aperti, vediamo il volto che ci stava celato.

L'illustre Vescovo d'Orléans ha già mostrato alla Europa doppiezze, viltà, turpezze, delitti incredibili; la Francia fu scossa a quelle rivelazioni ed a quei ricordi così spaventosi e l'Italia arrossò d'essersi lasciata precipitare nell'abisso senza accorgersene.

Eppure da lungo tempo poteva conoscere i suoi nemici nei nemici della Chiesa.

Il 10 Febbraio 1855, l'Avvenire di Nizza scriveva: «Il Piemonte dopo che fa la guerra alla veste nera, comincia a guadagnare il mio cuore. Lo schiacciamento dell'infame fatto da Voltaire fu molto incompiuto; occorre terminare la bisogna...» Qui ci fermiamo chè il resto ci farebbe vergognare di essere italiani.

E quando poté farsi apertamente la guerra al Papato, sempre protestando sommissione e amore, si operò peggio, si fece quanto si poté per rovesciare la Chiesa. «Combattete il Papa ed i Cardinali, combatteteli a tutto potere» gridava Garibaldi. E questo ripeteva ad ogni occasione e in tal modo che bastano le sue parole per far conoscere lo spirito che guida i nemici della Chiesa, e i fatti di cui sono capaci. La guerra dunque fu fatta atroce ma mascherata, lenta dapprima e perseverante, poi precipitosa e furibonda. L'Italia divenne preda della Rivoluzione e i ministri di Cristo e i fedeli del Cattolicismo furono oppressi, perseguitati, esiliati e derubati in nome del diritto e della giustizia.

Esiliati i Vescovi, impediti nel loro ministero, imprigionati al suono delle parole libera Chiesa in libero stato, proposte e adottate leggi l'una più dell'altra nemica della libertà della Chiesa, insomma operato in tal modo che un francese, scorrendo la storia degli ultimi anni in Italia, chiedeva: «E chi dunque potrebbe aver commessi tanti delitti, se non fosse lo spirito fatale del disordine che dopo Voltaire non ha cessato di soffiare sull'Europa l'odio a Dio ed ai Re?.. Ieri lo spirito del disordine faceva in Francia strazio e rovina, oggi in Italia sparge sangue ed oppressione. Ieri si chiamava Robespierre o Marat, oggi si chiama Mazzini, N…, Garibaldi; e questi nomi diversi che servono a distinguere i suoi diversi attributi e le sue diverse fasi politiche, non ne formano realmente che un solo, il quale è scritto nella Storia con lettere di sangue! Questo nome formidabile è la Rivoluzione (39).

Con tutto ciò si continuava sempre a dire che la guerra non si faceva alla Chiesa e che la Religione Cattolica si rispettava; si diceva che a Roma si combatteva il Re non il Papa e molti disaccorti restavano ancora presi a questo laccio. La Provvidenza ora tolse anche quest'ultimo modo di inganno ai nemici della Religione ed essi furono costretti a scoprirsi interamente ed a mostrarsi quali veramente erano sempre stati.

VIII. L'8 Dicembre 1864, decimo anno dalla promulgazione del dogma dell'Immacolato concepimento di Maria SS. l'immortale Pio IX mandò ai Vescovi una Enciclica che strappò ogni velo e che, ferendo nel vivo gli anticattolici, fece loro dimenticare le solite precauzioni e li costrinse a finalmente cessare dalle ipocrisie. Era quell'Enciclica un atto del Papa e non del Re, un atto del supremo maestro delle coscienze, non del principe di poche migliaia di sudditi. Era dunque un atto puramente religioso, né governi i quali predicavano continuamente volere la Chiesa libera, né Stati i cui ministri ed i cui capi si dicevano e si ripetevano figli devoti della Chiesa, protettori del Papato, difensori della Santa Sede, dovevano per nulla commuoversi ad ira, e tanto meno poi dovevano mostrarsi turbati e adirati quei tanti scrittori che desideravano la grandezza della Chiesa, la purità della dottrina, e che professavano così caldo amore al Papato spirituale. Pure non fu così ed appena comparve la Enciclica, costoro si diedero a bestemmiare contro questa tarlata istituzione del Papato, contro questo vecchio edifizio, contro «questo pontificato contrario e nemico a civiltà che, cieco e stolto si scavava da sé stesso la tomba».

E coloro che dicevano queste e peggiori scelleratezze erano quelli stessi che, scaltramente usando della ipocrisia, avevano già ingannati tanti creduli lettori e avevano fatto credere amare essi la Chiesa, ma amar pure la patria; essere contrari al principato civile dei Romani Pontefici, non già allo spirituale magistero. Oh, veramente è la scienza di Dio che illustra Pio IX, veramente è la Provvidenza di Dio che guida e dispone gli atti della Chiesa! Quale altro atto sarebbe venuto così opportuno e così potente a far deporre il mentito aspetto e le ingannatrici finzioni agli avversari della Chiesa, quanto l'atto dell’otto Dicembre 1864? Quale altro atto avrebbe più compiutamente sconfitto l'empietà e l'errore nei suoi più intimi ripari?

Le ire medesime cotanto furiose dei mille giornali della rivoluzione, in ogni paese formano un coro di voci che cantano l'inno di trionfo alla Chiesa. Perocchè con tanta bava vomitata, con tanta ira e così accesa che mostrarono questi nemici del Papa, che cosa si è provato? Che essi osteggiano la Chiesa ed il Cattolicismo, che predicano libertà sognando catene alla religione, che domandano carità calpestando le più auguste dignità, vituperando i personaggi più onorati e più venerandi; che essi, nella impresa stolta di combattere la verità cattolica non disdegnano far lega coi socialisti, coi panteisti, cogli atei, cogli increduli, coi furfanti d'ogni maniera. Si è provato che l'Enciclica li ha feriti nel cuore, ha strappato la maschera agli apostati dal monastero o dal sacerdozio, agli scrittori ipocriti ed infinti, ha dato una terribile sconfitta alla rivoluzione, ha costretto i Giuda ad affrettare il tradimento, ha disingannato ed illuminato coloro che si erano lasciati abbindolare dai falsi cattolici, ha rinnovato l'avvertimento dato tante volte ai potenti che salute è solo nello starsi uniti alla Chiesa, ha diviso decisamente i due campi nemici, ha scoperto Satana e l'opera sua e la ha additata con sicurezza mirabile; si è provato insomma che l'idra rivoluzionaria si sente vinta, ferita a morte, pesta dalla pietra possente della quale è scritto che sfracellerà colui sopra il quale cadrà, si è provato che il Papato combattuto, tradito, osteggiato, vilipeso, malmenato, bestemmiato dai suoi nemici, sa comporre per loro l'orazione funebre nel tempo che essi gridano il trionfo, che Gesù Cristo finalmente si è svegliato dal mistico sonno, che la fedeltà dei buoni è stata provata abbastanza e che ben presto il cenno divino farà quietare i venti ed il mare.

IX. All'apparire dell'Enciclica e del Sillabo alquanti dei rivoluzionari simularono noncuranza e sicurezza ma non poterono durarla a lungo; il tempo della simulazione era finito; bisognò mostrarsi alla luce del sole senza veli, senza maschere;

In Francia fu proibito pubblicare l'Enciclica ed il Sillabo ai Vescovi soltanto, mentre quei due atti papali furono dati a straziare ai giornali ebraici, volteriani e massonici che vi dissero sopra tali orrori e tali stravaganze da crederli invasati od impazziti. Ma questo non bastava; si volle intimorire il Papa e ridicolamente si cercò risuscitare il gallicanismo che, morto da lungo tempo, invece che rivivere ebbe solenne sepoltura, conciossiachè tutti i Vescovi si stringessero maggiormente alla Santa Sede di Roma e protestassero contro i folli tentativi di coloro che, sotto nome di libertà gallicane si argomentavano di creare schiavitù alla Chiesa. Visto fallire questo modo creduto possentissimo e vista quest'arme spuntarsi, si diede di piglio ad un'altra. Dal 1859 in qua, un certo oscuro scrittore, il sig. Cayla di quando in quando usciva con un qualche opuscolo inteso a difendere atti contrari alle tradizioni della Francia Cattolica e discordanti dalla religiosa pietà dei suoi re, oppure diretto a preparare la via a qualche nuova azione troppo diversa per verò dalle generose parole che spesso per lo addietro sentirono ripetersi a racconsolare e rassicurare le trepidanti ansietà dei Vescovi e dei cattolici francesi. Non possiamo credere che il Cayla sia stato scelto come il Laguérroniére a servire del suo nome scritti di altri, chè i suoi scritti sono troppo miserabili e meschini per crederli d'altri che di lui; ma quello però di che possiamo essere persuasi si è che costui conosce forse qualche progetto arcano e penetra addentro nei consigli misteriosi che, custoditi gelosamente, solo di quando in quando escono a mostrarsi.

Or bene, codesto scrittore che ha fatto la apologia del demonio (40) è or ora uscito a combattere l'Enciclica dell' 8 Dicembre, in un opuscoletto smilzo e così leggero e superficiale da non potersi credere. Egli lo ha intitolato César pontife, Réponse à l'Enciclique du 8 Dec. Dopo aver detto che «in tutta Europa e singolarmente nella Francia, culla di Voltaire e dei grandi uomini del l789, la barbarie del linguaggio e l'accecamento dello spirito che ha potuto dettare pagine somiglianti a quelle degli atti papali, avevano colpito gli spiriti» si slancia colla fantasia nell'infinito e gravemente esclama:

«Si dichiara alla umana ragione una guerra senza tregua né pace. Dunque risvegliati, o ragione, raggio divino caduto dal cielo, fuoco sacro che il Prometeo della favola voleva rapire agli Dei e spandi torrenti di luce sui tuoi nemici costernati»! Al leggere questa lirica noi ci domandammo se costui facesse la satira alla ragione cantando di lei, né ci cadde pure in mente di aver che fare con un filosofo razionalista.

La conclusione è che egli vede usurpazioni pontificali da ogni parte, vede Gregorio VII risuscitato tal quale ce lo hanno descritto gli storici razionalisti ed increduli, vede tutti i troni nella polvere, tutti i re tratti a servire da sgabello al Pontefice e freme e, senza avvedersene, contraddice sé stesso. «Unanimi, egli scrive, i pubblicisti democratici si pronunciarono schiettissimamente contro i principii esposti dalla Santa Sede; sono indegnati della arroganza di una autorità straniera che pretende guidare la società moderna in tutti i popoli del mondo» (pag. 8).

E con questo intende accennare come i giornali francesi combattessero l'Enciclica, dimenticandosi che era naturale che a scrittori di certi libelli e di certi articoli dispiacesse quell'Enciclica che condannava i loro errori, come pure dimenticando che i giornali giudaici e volteriani della nuova Italia avrebbero fatto eco nei più bassi modi a chi le dicesse contro. maggiori villanie. E tutti d'accordo gridarono veramente contro gli atti Pontifici che condannavano, dicevano essi, la civiltà, il progresso e la libertà. Se non che con questo anzi fecero un gran servigio alla Chiesa, mostrando apertamente che il progresso e la libertà da loro amati e voluti sono tutt'altro che il progresso nel bene e quella vera libertà qua Christus nos liberavit, quella vera libertà che, al dire d'un pagano medesimo, consiste nel non servire ad alcuna turpitudine (41).

Vogliono correre una via tutta avversa alla Chiesa, vogliono rovesciare il Cattolicismo, vogliono, come diceva il Monti nostro, appunto dei grandi uomini del l789, «ir co' ciacchi in tresca» e però dicono che il Papa Pio IX colla sua Enciclica avversa la civiltà. Ora è dunque la civiltà di costoro che ha preso a dare alla società il bel complesso delle dottrine razionalistiche, atee, o panteistiche, l'indifferentismo, il socialismo, il comunismo, la tirannia, la schiavitù della Chiesa, il concubinato legale, la immoralità, il cesarismo? Oh sì, è vero; Roma ed i Papi sono contrari a questa civiltà scellerata, a questo progresso iniquo, e tutti i veri cristiani, sempre combatteranno contro di questa libertà, mai non faranno tregua con lei; sì, è vero, Pio IX ha fulminato questa civiltà, questo progresso, questa libertà; la sua Enciclica mira ad avvisare principi e popoli che solo coi principii del vero cattolicismo eviteranno l'abisso sull'orlo del quale furono già miseramente travolti da errori che oscurarono ogni retto principio, che fecero traviare da ogni dritto sentiero, da errori insomma che portarono una nuova barbarie ad insediarsi fra noi. Questa sua Enciclica inoltre mira a mostrare i sofismi e le dottrine onde i nemici di Cristo sperano rovesciare altari e troni, mira a porre in guardia le genti coltro certi scellerati che si coprono di mille maschere e che predicando carità ed umiltà si servono della finzione melata per porgere il veleno. Ora a costoro l'Enciclica di Pio IX, e il sig. Cayla lo sa quanto noi, doveva certamente dispiacere, poiché è naturale che al ladro spiacciano le leggi, all’ipocrita la schiettezza, a Giuda la fedeltà.

Ora, spiacendo a costoro, non poteva piacere poi a quel governo che, se crediamo alle parole del Cayla «anch'esso come i democratici invoca i grandi principii del l789» (42)e quindi uscì la proibizione ai Vescovi di pubblicare quella Enciclica contro la quale era data amplissima facoltà di bestemmiare ai libellisti, ai giornalisti, ed ai Cayla.

Ma questa protestation énergique come la chiama il nostro libellista, non bastava a sconfiggere il Papato, ad opporsi efficacemente alle sognate voglie d'usurpazione della Santa Sede, quindi il Cayla, non sappiamo se a nome suo o a nome d'altri, propone un espediente che promette infallibile. Egli liberale, comincia col dire francamente: «Sventura allo Stato che ammetterà la Chiesa libera (pag. 19). È venuto il momento di imitare l’Inghilterra, l'Olanda, l'Alemagna, la Svezia gli Stati uniti d'America; è venuto il momento di sbarazzarsi dalla servitù religiosa del Medio Evo, di liberare il potere civile e di togliersi per sempre dal giogo del dispotismo della teocrazia. Se la riforma che si vuole fare togliesse al Papa soltanto il potere temporale sarebbe incompiuta e non avrebbe lunga durata» (pag. 42).

Dopo queste righe ci pare necessario avvertire come il libro sia stampato in Parigi nel 1865 dove due Vescovi, l'uno dei quali senatore, furono citati come rei d'abuso per avere pubblicato l'Enciclica. Ora nelle parole ricordate sta un'onta gravissima al governo che così ripetutamente ha protestato di voler proteggere il Santo Padre ed alla Francia intera così devota al Cattolicismo ed alla Santa Sede. Il Voltaire vituperando la maestosa e sublime figura di Giovanna D'Arco non fece maggior sacrilegio c non insultò con maggiore impudenza alla fede ed all'onore della sua patria. Ma almeno il Cayla è schietto, e a chi conosce la storia moderna fa travedere qualche consiglio rovinoso che forse occultamente sta maturando.

Or bene, coll'incatenare la Chiesa che cosa avrebbe guadagnato la Francia, che cosa guadagna l'Italia? Altri principi e re possentissimi tentarono e compirono alcuna volta la fatale impresa, ma che ne avvenne?

Dicevano e credevano i nostri padri di quel medio evo che così ingiustamente è vituperato perché così poco è conosciuto o compreso, che «officio di legittimo re è governare con giustizia ed equità e difendere con tutte le forze la Santa Chiesa; perocchè, soggiungevano, mentre i re ed i principi ricusano assoggettarsi a Dio e custodire i suoi precetti, spesso finiscono col perdere la vigoria della loro possanza e la podestà stessa... ed il popolo soggetto ad un Re contrario a Dio insorge spesso contro il suo principe e lo circonda di insidie e lo tormenta suscitando mille calamità. E guai a colui che persegue od impedisce i ministri di Dio, conciossiachè leggasi di molli Re ed Imperatori che per codesto delitto vennero a perire miseramente ed improvvisamente. Dio disse dei suoi ministri: Chi tocca voi, tocca la pupilla del mio occhio» (43).

«Cristo, esclamava il generoso martire S. Tomaso Becket, ha fondato la Chiesa e le procurò col proprio Sangue la libertà... Guai quindi a coloro che fanno leggi inique e che sanciscono ingiustizie per opprimere giuridicamente e per recare violenza alla causa degli umili del popolo di Dio, per fare loro preda le Chiese e le vedove, e per disperdere i beni degli ecclesiastici e degli altri... E chi mai dubiterà che i sacerdoti di Cristo siano maestri e padri dei Re, dei Principi, di tutti i fedeli? Si fa conoscere adunque colpito da lacrimevole insania colui che essendo discepolo cercasse sottoporsi il maestro, essendo figlio cercasse assoggettarsi il padre e sottometterlo ad inique obbligazioni» (44). E questo scriveva ad Enrico II re d'Inghilterra, al quale coraggiosamente ripeteva: «Ricordatevi, o re, che voi siete non preside ma figlio della Chiesa... e vi tocca ubbidire, vi tocca nelle cose ecclesiastiche seguire i pastori, non precederli» (45). E il francese Stefano di Tournai al vedere la oppressione della Chiesa gridava spaventato: «Che cosa può mai restare di inviolato e sicuro se una mano sacrilega impunemente frange le colonne della Chiesa»? (46). A misura che i governi si discostano dalla Chiesa, e secondo il moderno parlare, se ne rendono indipendenti, decadono di loro floridezza morale ed intellettuale, si avvicinano allo sfasciamento e perdono quella forza che viene dalle rette e sicure dottrine religiose, sempre ed ovunque produttrici e raffermatrici delle sagge dottrine politiche. Lo dimostrò in poche parole uno dei più vigorosi ingegni politici della Europa moderna: «Scemandosi la fede, egli scrive, va scemando in eguale proporzione la verità sulla terra e la società che si allontana da Dio vede abbuiarsi di fitte tenebre ogni suo orizzonte. Ond'è che la religione fu mai sempre considerata in ogni tempo e da tutti gli uomini qual base indispensabile d'ogni umano consorzio... Quegli possiede la verità politica che conosce le leggi cui sono sottoposti i governi... La Chiesa ha sola il diritto di affermare o di negare, e fuori di Lei non v'è diritto d'affermare ciò che ella nega, o di negare ciò che ella afferma. Quando la società, avendo obliate le sue dottrinali decisioni, chiese alla stampa, alla tribuna, ai giornalisti ed alle assemblee: Che è la verità, che è l'errore? l'errore e la verità andarono confuse nelle intelligenze; la società entrò nel regno delle ombre, ricadde sotto il dominio delle finzioni. Sentendo da una parte in sé stessa l’imperiosa necessità di sottomettersi alla verità e di togliersi all'errore, e dall'altra l'impossibilità di accertare o l'errore o la verità, dessa ha combinato un catalogo di verità convenzionali e arbitrarie e un catalogo di errori pretesi; poi disse, io adorerò i primi e condannerò i secondi, ignorando nel suo prodigioso accecamento che adorando gli uni e condannando gli altri, nulla condanna e nulla adora; o che se adora e condanna alcuna cosa, non è che sé stessa» (47). Con queste parole dell’illustre Donoso Cortes concorda la esperienza della Storia. Domandiamone i popoli ed essi ci sapranno dire quanto importi la soggezione dello Stato alla Chiesa e la indipendenza di questa. Confrontiamo il regno di S. Luigi IX di Francia con quelli di Filippo il Bello c di Luigi XIV che pure si porta come modello di grandezza; confrontiamo il regno di S. Edoardo d'Inghilterra con quello di Arrigo VIII e di Elisabetta. Che se vogliamo esempi moderni e freschi, confrontiamo la Roma di Pio IX con quella di Mazzini, confrontiamo il regno di Sardegna con quello d'Italia, e tremende verità ci sentiremo ripetute, verità dalle quali male sapremmo schermirci col dirle «degne di Medio Evo».

I popoli non trovarono mai un tiranno fra i santi, molti ne trovarono fra coloro che disdegnavano il giogo della autorità ecclesiastica; non trovarono mai un oppressore, un carnefice tra i principi religiosi e veramente devoti alla Chiesa; innumerevoli ne trovarono fra gli eretici, gli scismatici, i framassoni. Noi domandiamo alla Germania quali furono i suoi tempi più infelici? Furono quelli di Arrigo IV, di Federigo Barbarossa, di Arrigo VI, di Federigo II, che vollero assoggettare la Chiesa; noi dimandiamo all'Inghilterra, quali furono i più tristi suoi tempi? Quelli del regno d'un Guglielmo il Rosso, d'un Arrigo II che vollero porre la mano nel Santuario. E, giacché si citano le nazioni moderne, giacché si esorta dal Cayla ad imitare l'Inghilterra, noi domandiamo alla Polonia, chi la dibranò, chi la spense, chi la trasse in rovina e la tradì? Gli iniqui legislatori che le tolsero il vigore della vita cattolica, che ne incatenarono la Chiesa, che ne calpestarono la fede; la trassero in rovina e la tradirono gli eretici e gli scismatici, i filosofi volteriani ed i potenti settari che attizzarono i rivolgimenti e poi abbandonarono al macello i sollevati.

Quanto all'Inghilterra, questa infelice nazione provò ai tempi di Arrigo VIII, di Elisabetta, di Edoardo, di Carlo I, di Giacomo II, gli effetti dell'essersi sottratta alla ubbidienza della Chiesa Romana, e il maggiore fu, secondo il protestante Cobbet, di aversi «un principe peggior che Nerone» nel capo stesso della Riforma.

X. Ma, dice il Cayla, col Papa lo stato è schiavo per metà, il sovrano è sovrano solo per metà. - A sconfiggere questo stolto parlare basta un breve passo del già citato protestante: «Contro all’intervento del Papa nell'autorità del re o dello stato, il pretesto tanto falso quanto vergognoso che si adoperava e che ancora si adopera è questo: che egli divide il governo col re al quale appartiene l'intera supremazia su tutto quanto risguardo l'interno del suo reame. Questa dottrina, spinta un po' oltre escluderebbe lo stesso Gesù Cristo e farebbe del re un oggetto di adorazione» (48). Che più? lo stesso Proudhon, il nemico giurato della Religione e della Monarchia, vide dove conducessero le teoriche moderne, e non seppe tenersi dal trarne le ultime conseguenze con quella sua inesorabile logica che non si arresta giammai dinanzi a nessun precipizio. Egli scrive: «Allorquando i Principi percossero la Chiesa col loro guanto di ferro, credettero averne maggior pro che del loro diritto e della loro spada. La dignità reale, sorgendo contro il Papa, cominciò invece da allora ad avvicinarsi alla sua perdita. Lo scisma esisteva da più secoli fra il trono e l'altare a gran danno dell'uno e dell’altro... Umiliata così la Chiesa, il principio di autorità era colpito nella sua sorgente, il potere non era che un'ombra, ed ogni cittadino poteva chiedere al governo: Chi sei tu perché io ti abbia ad ubbidire? Il Socialismo non tralasciò di mostrare questa conseguenza e quando, in presenza della monarchia colla mano stesa sopra una carta che negava il Vangelo, osò dirsi anarchista, negatore d'ogni autorità, non fece che citare le conseguenze d'un ragionamento che si sviluppava da migliaia d'anni sotto l'azione rivoluzionaria di governi e di re» (49).

Negata difatti ai diritti dello stato quella sanzione religiosa che li santifica e li rende inviolabili, di quali ragioni potranno dessi farsi forti per costringere giuridicamente i popoli? Non è quindi a stupirsi se i nemici del Cattolicismo sono per lo più nemici della Monarchia e quasi sempre rivoluzionari per convinzione; se fossero altrimenti darebbero nell'assurdo, ed il medesimo protestante Guizot allorché piange sui pericoli minacciosi della società Europea è tratto a forza a trovarne la causa nella dimenticanza dei principii morali del Cattolicismo. Tolti questi bisogna per forza venire alla selvaggia conclusione del Proudhon: «i re sono tiranni, la proprietà è un furto». Domandiamone conferma ai fatti, chiediamone alla storia; dalla rivoluzione francese in poi, quanti avvenimenti ce lo proveranno! Proudhon si meravigliava di trovare una questione teologica in fondo d'ogni questione politica, ma non aveva ragione di meravigliarsi, chè ogni politica ritrae della teologia, cioè delle credenze d'un popolo, e appunto per questo, siccome effetto della idolatria (sì bene chiamata servitus da s. Paolo) si fu il Cesarismo, cioè la tirannia assoluta di un solo e prima era stata la oligarchia ed il disordine nella tirannide dei patrizi e nelle stemperate pretensioni dei tribuni del popolo; così effetto del razionalismo si è la democrazia sfrenata ed il socialismo. Anche oggi tra le nazioni idolatre troviamo adorati i re, ed essi vediamo tirannescamente usare dei popoli, ed anche oggi dove più alligna il razionalismo e dove la Chiesa è oppressa, vediamo turpezze e disordini da non credersi. La china è troppo sdrucciolevole; posti i principii bisogna venire alle conseguenze, ed è impossibile fermarsi a metà; l'errore religioso è nocevole alle anime non solo, ma anche ai corpi sociali e, come confessa lo stesso democratico Luigi Blanc, furono le opere di Luigi XIV «per svincolare la monarchia assoluta dalla più rispettata delle censure» quelle che affrettarono la rovina della monarchia francese «perocchè strappando al Papa i suoi diritti colle pretensioni del potere civile, faceva loro subire un cambiamento di luogo e li traslocava per piantarli prima nei parlamenti, poscia nella moltitudine» (50). E a questo trascinava la logica, imperocché il religioso «non poteva essere per vero dire l'unico aspetto della rivoluzione mentre insegnando ai popoli a mettere in disamina l'autorità Papale, li sospingeva irresistibilmente a fare altrettanto coi re» (51). Di fatto, come ben notò l'illustre Arcivescovo di Colonia Clemente Augusto de Droste Vischering «da parte loro i Demagoghi invocano a gran voce la guerra tra la Chiesa e lo stato per arrivare allo scopo stesso al quale mirano i razionalisti; ma i loro sforzi sono d'un altro genere. Dapprima si avvicinano strisciando al trono dei principi e la loro parola adulatrice persuade a quelli che per conservare la loro potenza è necessario abbassare e rendere schiava la Chiesa... ma appena coll'aiuto del potere politico hanno rovesciato l'ostacolo della Chiesa si gettano contro lo stato e la loro vittoria è rapida e sicura. ... Cercano quanto è loro possibile restringere i diritti della Chiesa come se la Chiesa fosse di sua natura nemica allo stato e fosse necessario estirparne la potenza» (52).

Or vegga il Cayla dove condurrebbe la sua proposta; se si prendesse sul serio, dal governo francese dovrebbe muoverglisi querela come a reo di perturbazione dello Stato e di alto tradimento, conciossiachè la sua proposta sia una smentita solenne ed un'onta gravissima alla sua patria ed al sovrano che la governa. Ma noi ci chiamiamo pentiti di aver discorso sì a lungo contro una dottrina che si mostra falsa per se stessa; imperciocchè, come osserva acutamente il Conte d'Horrer «far entrare la Chiesa nello Stato sarebbe lo stesso che voler contenere il tutto in una sua parte e voler rinchiudere l'Oceano in uno stagno». Sennonché il libellista non si spaventa dell'assurdità delle sue dottrine smentite dalla storia, dalla ragione, dalla sana politica; e grida non potersi vincere le usurpazioni della Chiesa se non dichiarando Papa il Re, e conchiude: - «Cesare dirige i destini del paese, CHE CESARE SIA DUNQUE PONTEFICE. È lo scisma, risponderanno gli oltramontani ed i Gesuiti, è il rovesciamento della Religione, della Morale... POCO C'IMPORTA; noi desideriamo, noi cerchiamo la tranquillità per tutti i cittadini, la pace di tutte le coscienze» (pagina 21).

Ebbene, invece che la pace per tutti i cittadini, colla Chiesa schiava avrete la discordia civile, avrete mille sette e mille partiti che sorgeranno da ogni parte, avrete mille cause di dissidi e di inimicizie, avrete un lento malore che trascinerà in rovina lo stato; invece che la pace delle coscienze avrete il turbamento, avrete la irrequietezza, la ansietà, avrete il dolore dei buoni, la avversione e la disapprovazione degli onesti, e, volendo troppo in alto sublimare il soglio, farete sì che cada nel fango. Ci si cita poi per ultimo dallo sciagurato scrittore la Russia come modello di stato che riunisce nel suo capo il re ed il Papa, e questo si fa quando sono ancor calde le ceneri dei Polacchi, quando si hanno ancor molli gli occhi di pianto al ricordare le violenze contro il Cattolicismo, quando i Cattolici e tutti gli odiatori della apostasia hanno ancora sulle labbra un grido di esecrazione contro l'apostata Siemanzko, carnefice di Macrina e del suo proprio fratello.

Non è dunque la libertà quella che vogliono codesti impostori, è la distruzione del Cristianesimo, è la oppressione della Chiesa; la libertà è per loro soltanto una parola, usata a velare la malizia, come predisse di loro l'Apostolo. Oh è pur vero quello che ebbe a notare S. Girolamo, che: «ogni eretico ed ogni difensore di falsa credenza è sempre di volto impudente», è ben vero che quelli di tal risma «nulla sapendo, parlano di cose che non conoscono» (53).

L'Enciclica dell'8 Dic. fu dunque giustificata e difesa ed illustrata dalle ire medesime dei nemici del Cattolicismo, dai modi sleali ai quali ricorsero, dalle risoluzioni disperate che andarono suggerendo. L'Enciclica scoprì il loro volto, denudò le loro ipocrisie, costrinse a cessare i loro infingimenti, mostrò al mondo intero la loro debolezza, la loro malvagità, trionfò insomma compiutamente e, lasciandoli gridare e cospirare e tradire, prepara la via al non lontano trionfo. Gli uomini credettero che quel vecchio al quale avevano tolto quasi tutto il regno, al quale si apparecchiavano a togliere anche il resto, quel vecchio che vedevano abbandonato quasi da tutti, quel vecchio del quale cantavano la morte ed al quale prepararono da venti volte la bara, consolandosi di sua lunga vita coll’annunciarlo defunto almeno tre volte l'anno, credettero dico, che quel vecchio, spossato e franto dal lungo resistere, non durerebbe più a lungo e cederebbe e tacerebbe, e già riposavano tranquilli sulle loro grandi conquiste che tenevano per assicurate e per solidamente piantate. Ma in Pio IX ricordavano solo il Sovrano di quelle province che coi tradimenti e colle violenze avevano potuto usurpare, non ricordavano il Vicario di Colui chè è Rex Regnum et Dominus Dominantium, di Colui che nulla ama maggiormente della libertà della sua Chiesa (54). A forza di bestemmiare che il Papato era di istituzione umana, se ne resero persuasi ed operarono senza tener conto di Cristo Gesù, del quale il Papa non è che il Vicegerente, ed ecco che di improvviso li sfolgora un atto sublime di autorità soprannaturale, una condanna chiara ed aperta di tutti quei stolti sistemi che essi avevano fabbricato per farsene armi contro la verità. La potenza più che umana delle parole di Pio IX li sbalordisce, li disperde, li atterrisce e, nella confusione della sconfitta, essi non sanno trovare altro rimedio fuorché quello di dichiararsi ribelli interamente ad una autorità alla quale si fingevano devoti. Essi omai conoscono la inutilità dei loro sforzi, veggono che la guerra è omai finita, che potranno perseguitare, spogliare, incatenare il Re di Roma, ma che pur non ostante il solco del fulmine scagliato dal Capo della vera religione non si cancellerà giammai dalle loro fronti, anzi sempre più si farà profondo fino a distruggerli. Nella loro disperazione dopo aver desiderato che Pio IX sia l'ultimo Papa, come i loro padri gloriosi del 1789 avevano desiderato lo fosse Pio VI, gridano senza sapere che si dicano: "Noi rispondiamo alla Enciclica con queste parole tanto terribili per il papato temporale, quanto quelle che l'angelo scrisse sui muri del palazzo del re di Babilonia: CESARE PONTEFICE» (55), e non si accorgono che sull'opera delle loro mani e sui loro vani propositi l'angelo di Dio ha già scritto a caratteri di fuoco: «LA GIUSTIZIA È IL FONDAMENTO DEI TRONI; IL DESIDERIO DEI PECCATORI PERIRÀ .

XI. Noi intanto ci sentiamo nel cuore ben altri sentimenti verso il Papato, che ci sono ravvivati ancor più dall'Enciclica dell'8 Dicembre. Noi ammiriamo questo potere che meravigliosamente è guidato a conoscere i tempi e le opportunità, che resiste sempre e non cede mai, che senza smuoversi d'un punto disperde i suoi nemici, e delle loro credute vittorie si forma un vero trionfo. Noi vediamo i protestanti tocchi e ammirati da cotanta fortezza l'avvicinarsi al centro della Cattolica unità; vediamo i cattolici che, senza allontanarsi dalla loro mistica Madre, anzi per difenderla, s'erano posti in qualche pericolo seguendo sentieri pieni di insidie, ritornare alla di Lei voce sulla regia strada, ritemprati a nuovo ardore; vediamo sfasciarsi e perire gli ultimi resti del gallicanismo, l'ultima trasformazione del giansenismo, vediamo stringersi vieppiù le schiere dei cattolici e volgersi forti e concordi contro l'avversario loro additato. Passano i persecutori, passano i prepotenti, passano i settari e o li accoglie l'esilio, o gli consuma uno scoglio deserto, o gli distrugge la mannaia che fabbricarono; la Chiesa sta, sola, sicura, eterna e grida a tutti: Chi non si rivolge a me, perisce; chi meco non raccoglie, disperde.

Solo, nel conforto della sicura speranza, ci attrista lo spettacolo lacrimevole di alquanti nostri fratelli che o sono travolti dal turbine impetuoso delle dottrine anticristiane, o sono ingannati dalle arti nemiche, o, per un lamentevole scoramento, si tengono lontani dalla battaglia e temono dovere entrare anch'essi tra i combattenti.

E qui parliamo ai nostri Veneti singolarmente e loro diciamo:

Noi non saremo certamente di quelli i quali vogliano negare o credere meno cattivo lo stato presente delle conquiste degli empi, anzi le affermiamo, le vediamo, le comprendiamo forse più in là di tanti altri, conciossiachè vi siano misteri di iniquità dei quali pochi per avventura sospettano; ma noi stimiamo che invece di cadere di coraggio, bisogni affrontare con sicurezza la menzogna, la iniquità, l'errore. Diamo uno sguardo ai malvagi. Cessarono essi mai, dalla loro maledetta impresa? Vi furono tempi di fede viva e vigorosa, tempi che perseguitavano coll’odio, collo sprezzo, colla infamia quegli apostati e quei figli di Satana; eppure essi non ristettero, e attraverso a pericoli innumerabili, e bene spesso a gravi patimenti, proseguirono baldi e costanti. Sarà dunque che i figli di Dio, i fedeli di Cristo sappiano meno resistere che non i loro nemici? Si dovrà dunque dire che la virtù ha difensori più fiaccai che non ne abbia il vizio?

Se non che questo avviene singolarmente perché i buoni sono divisi, sperperati, impediti; divisi da una falsa, perniciosa, iniqua larva di prudenza che è vera viltà, sperperati, impediti da paure, da ostacoli, da arti nemiche, spesso arcane, terribili sempre solo a chi se ne mostra pauroso; impediti dalla poca esperienza della lotta, perché fin qui tratti in una specie di sopore, prodotto dal non vedere scoperti i nemici che avevano tutta la cura di non dare neppure un sospetto di sé. Destandosi appena, i buoni restano storditi dal guasto che veggono operato, danno in esclamazioni di orrore; ma del porsi ad operare per il bene, a risanare le piaghe ancor capaci di guarigione, è nulla. Sperano che Dio porrà egli rimedio a tanti orrori, che Dio solleverà la gioventù dal lezzo in cui s'è gittata, che Dio muterà la mente ed il cuore degli uomini caduti nella ruina della indifferenza e della incredulità, Stolti! ripetiamolo pure, stolti! e voi intanto lasciate il male pigliar forza, lasciate le piaghe incancrenire, lasciate infracidarsi le parti offese. Non temete che Dio anzi, irritato da tanta dappocaggine, da tanta ignavia, vi castighi, vi flagelli maggiormente, ed abbandoni voi stessi al vortice che seco trascina e rapisce i vostri fratelli?

- Ma come fare a superare tanti ostacoli! noi non ne abbiamo la forza.

O fratelli nella pugna, o consorti nostri nel campo di Cristo, diteci; per chi combattete? Quel Dio che sa spezzare le armi dei guerrieri, che sa far cenere dei suoi nemici, che tiene in mano i cuori dei grandi e dei piccoli, dei nobili e dei popoli, non vi sarà di aiuto? Combattenti per lui, sotto i suoi vessilli, vi verrà meno la potenza del suo braccio? E poi quali sono questi ostacoli così paurosi? osate rimirarli, e li vedrete dissolversi in fumo, l'unico ostacolo vero siete voi colla vostra timidezza, colla vostra irresolutezza, coi vostri timori. I malvagi tremano dei buoni forse più che questi non paventino di loro, ed è perciò che mille arti e mille violenze adoperano per tenerli disgiunti, per farli diffidenti tra loro; mille calunnie inventano per mettere divisione tra i capi ed i soldati, tra i coraggiosi ed i prudenti, mille maschere si mettono per indurre confusione nelle loro file. Or bene, come togliere questi ostacoli? col togliere la causa, e la causa è pur sempre la nessuna energia, il nessun coraggio, la nessuna unione dei buoni.

Che se spaventano un poco (tanto siamo in basso venuti, che spaventino le ombre alle quali diamo corpo noi) le dicerie, le beffe, le avversioni; non siamo noi degni in, vero di riso e di beffe, mentre abbiamo giurata fedeltà a Cristo e siamo stati sacrati suoi difensori, suoi soldati nella Cresima? Un riso beffardo ci tratterrà dal fare il nostro dovere, e non pensiamo che, lasciando aperto il campo al nemico, egli si beffa assai più di noi, ci deride, ci insulta? Il riso beffardo dei malvagi contro dei buoni che resistono non passa il labbro, è riso mentito, è uno sforzo per nascondere che il cuore palpita di paura, che si trema, che si paventa. Vi deridono perché vi temono, vi deridono perché non sanno come celare altrimenti la loro confusione. Ma ben sincero e vero si è il riso onde sono perseguitati, se non sempre in faccia, sempre però dietro le spalle, i timidi ed i prudenti.

L'arma dunque la più possente, diremmo quasi la essenziale, per i buoni cattolici è la unione. Unione di cuori nella preghiera che impetri da Dio la costanza, la fermezza; il coraggio, la carità, ma unione pure di mezzi, unione di armonia, unione stretta di opere e di fatti nel combattere.

Uniti, stretti, imperterriti combattiamo le battaglie del Signore; alla piena soverchiante della iniquità opponiamo i nostri petti; sforziamoci con tutti gli argomenti della fede e della carità a confermare i buoni; ad illuminare, ad istruire, a stenebrare i cuori e le menti degli ingannati, a preservare l'innocenza, a mettere in guardia coloro che educano le speranze della religione e della patria, a smascherare gli ipocriti che della pietà si fanno manto a nascondere il veleno, a gridar contro i malvagi, gli increduli, i nemici di Dio e della Chiesa; ai libri infetti opponiamone di buoni, alle massime sconce ed irreligiose opponiamo le sante massime del Cattolicismo, alle insidie degli eretici, alle arti degli infelici che si gittarono ad osteggiare la Chiesa, opponiamo la vigilanza, la vera prudenza, la saldezza della fede; ai mali discorsi, al disprezzo, all'odio per le sacre cose, per le persone a Dio consacrate, opponiamo la stima, l'amore, il rispetto; alle calunnie, alle invenzioni, agli scandali opponiamo la verità, la storia, gli esempi edificanti.

Oh!, che più si bada? È tempo di risvegliarsi, è tempo dì operare da veri Cattolici; il nostro dormire ha dato troppe forze al nemico e troppe ne ha tolto a noi, sorgiamo da quel torpore che ci fu tanto fatale, e mentre l'inferno adopera tutto il suo potere, non vogliamo stare inerti. Si combatte per noi, per i nostri figli, per la società, per la Chiesa ed in questa guerra ogni Cattolico è soldato. Combattiamo colla parola, coll'esempio, cogli scritti, colla fermezza, colla preghiera. Diamo uno sguardo a quei generosi che ci precedettero nella nobile pugna, essi non ristettero né per paura di tormenti, né per paura di morte, e noi, noi figli di santi e di martiri, noi eredi dei crociati ci ritrarremo dal combattimento pel timore delle beffe, delle persecuzioni, delle ingiurie? Qualunque cosa ci avvenga, i vincitori saremo noi; finora ebbe molti vantaggi la miscredenza, perché furono paurosi i credenti, mostriamoci franchi e fermi ed il vantaggio l'avremo noi. Fedeli alla Chiesa, ferventi Cattolici saremo terribili e dopo le fatiche della guerra troveremo il riposo, la gioia, la felicità del trionfo; è luogo di pugna la terra, luogo di trionfo è il cielo.

Il nostro capitano, il Pontefice ce ne ha dato sempre l'esempio; ed alla vista di questo venerando vecchio che da quindici anni combatte imperterrito ed instancabile, ogni petto più freddo deve accendersi a santo fervore. Egli ultimamente nel giorno sacro alla Immacolata Concezione di Colei che stritolò il capo al serpente infernale, ci diede una regola sicura, ci indicò la vera sorgente dei mali della società, ci spiegò i viluppi onde i suoi nemici nascondono le perniciose dottrine; le loro ire, il loro furore hanno mostrato chiaramente che il grande Pontefice li aveva feriti nel cuore; seguiamo adunque la via che ci è aperta, chè lo spirito di Dio ci conduce.

Intanto tutti i buoni hanno accolto quest'atto del sommo Pio con gioia grandissima, anzi con vivissima riconoscenza e col giubilo nel cuore approvano tutte e singole le condanne; e noi, terminando, ci uniamo a loro e siamo felici di portarci in spirito ai piedi del venerando Pontefice che sarà posto accanto ai Leoni, ai Gregorii, agli Innocenzi, e qui vi testimoniargli il nostro amore, la nostra sommissione ed ubbidienza e dirgli: Pietro ci istruisci; anatema a colui che vuol porre altro fondamento alla Chiesa di Dio, che tutta è là dov'è Pietro e il suo successore. Vicario di quel Gesù che fu Egli pure dello seduttore, nemico di civiltà, avverso alle idee della società, osteggiatore della libertà, vero imitatore di Colui che perdonò ai suoi crocifissori, copia di Quello che fu tradito da Giuda, condannato da Pilato, gridato a morte dai scribi e dai farisei, insultato dalla plebe e dai veri impostori, bestemmiato dai predicatori di civiltà, in nome delle idee moderne di allora, la tua mano si alzi a benedirci e noi ci sentiremo la forza di seguirti al Calvario, perché siamo certi che quella è la via che conduce al Taborre.

 

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NOTE

 

(1) Il Razionalismo in Italia c. VI. nel Conservatore di Bologna, anno II, Tomo I, pag. 204.

 

(2) Taparelli, Dir. Nat. Diss IV. cap. IV. art. 2. N. 871; tom. 1. p. 639. Rom. 1855.

 

(3) Machiavelli, La mente d'un uomo di Stato. Lib. 1. cap. XII. §. 4.

 

(4) Taparelli, Dir. nat. N. 872, tomo I. p. 643-644.

 

(5) Istruzioni segrete della Carboneria, 1819, vedi Cretineau - Joly, L'Église rom., liv. III. tomo II. pag. 82. Paris 1859.

 

(6) Becker, presso 1'Anonim.: Il mondo nuovo e il mondo vecchio, cap. XXII, pag. 327.

 

(7) Sedulius, Carmen. Paschale, lib. I. V. 227.

 

(8) Ferrari, Feder. Rep. cap. XII.

 

(9) Balan, Studii sul Papato, cap. XIV. pag. 180. Padova 1861.

 

(10) G. Giusti, Lett. 123. Epistol., tomo I. pag. 382. Firenze 1859.

 

(11) N. Tommaseo nell'Istitutore, 18 genn. 1862.

 

(12) Ferrari, Federaz. Repubb., pag. 19.

 

(13) Ranieri, Storia d'Italia. Notizia N. VII, pag. XIX.

 

(14) Ranieri, Op. cit. pag. XX.

 

(15) Weishaupt presso il Barruel, Hist. du Jacobinisme, t. IV e presso l'anonimo aut. del Mondo Vecchio, ecc. cap. II, pag. 13.

 

(16) Ferrari. Federazione Repubbl. del popoli. C. XII.

 

(17) Id. ib. cap. IV.

 

(18) Millon presso De la Hodde. Rist. dea soc. secr. lib. 1, cap. XII, pag. 101.

 

(19) Thiers. De la Propriété, liv. 1 chap. XI pag. 82.

 

(20) Id. Ib. Livre 1 chap. XIV pag. 119.

 

(21) Weishaupt. Loc. cit.

 

(22) Millon presso De la Hodde, Iib; I, cap. XII, p. 101.

 

(23) Le National, presso De la Hodde loc. cit., p. 109.

 

(24) Egregiamente trattò del Matrimonio l'illustre conte Avogadro della Motta, onore del Piemonte e del laicato italiano, uomo grande e profondo filosofo, rapito recentemente da morte all'amore di tutti i Cattolici che ammirarono in lui uno dei più gloriosi campioni della giustizia e della fede.

 

(25) Piccolo tigre, presso Crétineau Joly. L'Egl. Rom. Liv. III.

 

(26) Dall'Ongaro. Biografia di Pio IX, pag. 2 e 4.

 

(27) Titolo d'una poesia di Gabriele Rossetti.

 

(28) Niccolini. Arnaldo da Brescia, pag. 108, prima edizione.

 

(29) Istruzioni secrete dell'Alta Vendita nell'anno 1819.

 

(30) Ibid.

 

(31) Ibid.

 

(32) Ibid.

 

(33) È stato scritto un libellaccio: Il fantasma del Locatelli al Vaticano o le visioni di Pio IX. Con più verità poteva stamparsi: I fantasmi degli assassinati, al Palazzo Carignano o le visioni degli onorevoli e delle eccellenze. Il conte de Limingues, Pimodan, gli Zuavi di Castelfidardo, le vittime del Venanzi e del Fausti, gli assassinati di Ancona, gli avvelenati degli spedali pontifici e tanti altri avrebbero potuto farvi la loro comparsa. Se ne domandi al Processo Fausti-Venanzi, al Curletti, ai vari processi ed agli Zuavi Belgi; essi potranno suggerire tutti gli apparitori a molti dei visionari.

 

(34) Istruzioni secrete del 20 Ottobre 1821.

 

(35) Lettera di Piccolo Tigre agli agenti superiori della Vendita Piemontese, 18 gennaio 1822. - Vedi poi tutti questi documenti radunati nel libro III della importantissima opera di Crétineau-Joly: L'Église Romaine en face de la Révolution.

 

(36) Montanelli, Memorie, cap. XVIII, pag. 141.

 

(37) Id. Ib., cap. XVIII, pag. 147, 48,

 

(38) Verati, Della tirannide sacerdotale, cap. X, pag. 482, 83. Firenze 1861.

 

(39) Sauclières. Gli intrighi, le menzogne, etc. p. 75. Venezia, 1863.

 

(40) In uno scritto intitolato. Le Diable, sa grandeur, etc.

 

(41) Liber est is aestimandus, qui nulli turpitudini servit. Cicero. ad Her.

 

(42). Le gouvernement impérial, qui invoque, comme nous démocrates, le grands principes de 1789. p. 12.

 

(43) Legitimi regis officium est populum in justitia et requitate gubernare et Ecclesiam sanctam totis viribus defendere... Porro ipsi Reges et Principes... dum Deo subesse et ejus praecepta custodire renuunt, dominationis suae vim et potestatem plerumque solent amittere... itaque..... Regi Deo contrario populus sibi subiectus multoties incipit adversus eum insurgere et variis ac multiplicibus insidiis illum appetere et multis adversitatibus fatigare... Mortem autem aut scandalum rex nullatenus praesulibus ecclesiae inferre debet. Nam pro hoc facinore comperimus multos Reges et Imperatores miserabiliter et inopinabiliter ex hac vita migrasse. Dehis nempe, idest de Praesulibus et Sanctis hominibus Dominus dicit: «Qui vos tangit, quasi qui tangit pupillam oculi mei. - Hugo Floriacensis: De Regia Potestate, ecc.» Cap. VII, passim in Balutii, Miscellanea, Lib. IV. pag. 30, etc.

 

(44) S. Thomae Cantuariensis Lib. I epist. 17 et 40 in Chr. Lupi, Opera T. X. p. 73 et 86.

 

(45) Id. Lib. I ep. 65, pag. 98.

 

(46) Qud cautum aut securum esse poterit, si columnas Ecclesiae sacrilega manus impune confringit? Stephani Tornacensis, Epist. 2 in Bibl. Max. Patrum, T. XXV pag. 5.

 

(47) Donoso Cortes: Saggio sul Cattolicismo, Liberalismo, ecc. L. I c. 1 e 3. pag. 129, Traduz. De Castro.

 

(48) Cobbet, Hist. de la Réforme. Lett. III, N, 88, pag. 41.

 

(49) Proudhon, Confess, d'un Révolutionn.

 

(50) Blanc, Origine e causa della rivoluzione francese. Lib. II, cap. 6. Tom. I, pag. 265 e seg.

 

(51) Blanc, Origine ec. Lib. I, cap. 2, pag. 28

 

(52) De la paix entre l'Églisc et les Etats. Ch. 2, pag. 22.

 

(53) Omnis haereticus et falsum dogma defendens, impudenti vultu est... Haeretici... quum nihil sciant, loquuntur plura quam norunt. S. Hieronymus, Comment. in Ecclesiasten; Operum T. II pag. 758 et 754. Parisiis, 1699.

 

(54) Nihil magis diligit Deus in hoc mundo, quam libertatem Ecclesiae suae. S. Anselmus, Lib. IV, ep. IX.

(55) Cayla, pag. 31